dolci fiabe torinesi
Paolo Bini

Non esiste vera emozione che non passi dalla multisensorialità e dal caso. Il cacao è arrivato fino ai giorni nostri percorrendo un viaggio spazio-tempo in cui il mito si è intrecciato alla storia, al sapore si è aggiunta la ricerca, il costume ha incorniciato il commercio, l’aneddotica, la casualità e l’invenzione del genio. Napoleone non poteva immaginare che un suo decreto avrebbe favorito indirettamente l’ingegno dei maestri pasticcieri e scatenato un’innovazione gastronomica che ancor oggi è uno dei più profumati fiori all’occhiello italici, un connubio di eccellenza e abilità.


Ogni forma di epica ha insita in sé la sfumata sovrapposizione della verità al romanzo, come se la realtà dovesse diventare fiaba oppure viceversa. Racconteremo una favola che narra di espedienti nati per vincere le difficoltà economiche e soddisfare quei palati aristocratici sottomessi da una spezia coloniale, seduttrice di anime pronte alla tentazione e propense all’edonismo e all’esotismo. Fra depistaggi informativi ed enigmi da svelare, rimane certo che la storia del gianduja (o giandoja) nasca nel XIX secolo e si sviluppi con invenzioni, astuzie ed episodi ancor oggi non del tutto chiariti. Il Blocco Continentale emanato da Bonaparte nel 1806 rese un lusso lo zucchero e altre merci d’importazione oltreoceanica. Una vera e propria “bastonata” che condizionò il commercio e l’alimentazione per tutto il secolo, nonostante la sua breve durata legale effettiva.