rosato a divenire
Massimo Zanichelli

“È un vino da donne”, “è ibrido, meticcio, senza identità”, “non è capace d’invecchiare”: quanti luoghi comuni ancora persistono sul rosato italiano? Tanti, troppi, tutti generati dall’inveterata, e perniciosa, abitudine di considerarli vinelli leggeri da consumare giovani, anzi giovanissimi, non appena vengono messi in commercio, specie d’estate, a bordo lago, mare o piscina, serviti ghiacciati. Così a uno stuolo di bevitori distratti si è affiancato una serie di vini occasionali, prodotti con la mano sinistra e senza sentimento. Invece i rosati, o rosa se preferite (c’è una rivendicazione lessicale a riguardo, benché il Vocabolario Treccani definisca il lemma “rosato” come “di colore rosa o tendente al rosa”, dunque c’è perfetta sinonimia; rinuncerei invece a chiamarli “rosé”, parola spesso usata per identificare uno spumante), sono, al pari dei rossi o dei bianchi, vini che esigono rispetto: rappresentano un terroir, rivelano una personalità e trovano nell’evoluzione in bottiglia, come testimoniano le brevi verticali che seguono, il loro punto di maggiore espressione. I rosati sanno invecchiare, eccome.


Esiste in Italia un “rosato d’autore”? Sì, e con numeri sorprendenti per origini geografiche (dal lago di Garda alle isole), interpreti (uomini e donne, enologi e vignaioli, grandi aziende e piccole cantine); ampelografie (vitigni autoctoni e varietà internazionali); colori (un caleidoscopio che va dal rosa tenue al rubino fosco) e caratteri (i tradizionali, i “bio”, gli outsider, perfino i “rosa fetish”). E tecniche: salassi e macerazioni (i tagli non si usano più, almeno nei casi più virtuosi); fermentazioni controllate e spontanee; acciaio, cemento e legno; chiusure con tappo in sughero, a vite o a corona. Per tacere delle estrosità su nomi di fantasia, etichette, design e packaging. La selezione che segue, una delle tante possibili, nata di concerto con Davide Garofalo (sempre prodigo di suggerimenti calzanti e cruciali), è un contributo di taglio trasversale, sintetico quanto, si spera, significativo, in grado di sollecitare interessi e ripensamenti su un vino, che, lungi all’essere decorativo, superfluo o solo gastronomico, è a tutto tondo e, come tale, reclama dignità e considerazione.