mi arrendo all'arredo Valerio M. Visintin n antichità, c’erano i camerieri in giacca o gilet, le tovaglie sui tavoli e i quadri appesi alle pareti. A quei tempi, i ristoratori allestivano i locali, adattando l’arredo al menu e il menu all’arredo e allo status sociale. La trattoria regionale pareva un angolo di cascina. Il posto di pesce, rifugio dell’alta borghesia, esibiva un guscio di barca all’ingresso e le reti da pesca drappeggiate ai muri. Sulle tavole dei vecchi nababbi, invece, fiorivano posate d’argento e scaglie di tartufo, nella quiete sussurrata di una sala in boiserie color dentiera. Mentre nei locali dei giovani stagnava una chiassosa penombra, punteggiata dai bagliori colorati dei drink. I Ci si basava, insomma, su una breve rassegna di cliché, previsti e rassicuranti come un codice collettivo. Quanto eravamo ingenui. Gli albori del nuovo millennio hanno rapidamente sgomberato questa catena di conformismi, rimescolando le carte come un colpo di vento. Trattorie, american bar, tavole borghesi e sacri templi degli chef hanno cominciato ad assomigliarsi, contaminandosi l’un l’altro, battendo simultaneamente sui medesimi tasti, senza distinzioni di grado e natura. Lo stile prevalente era dettato da una generica mondanità internazionale, sulla scia delle serie tivù made in Usa, da in giù. Sex and the City Per fortuna di tutti, anche quest’era geologica si è conclusa. Basta con le parole d’ordine dei tempi che furono. Oggi, abbiamo altri imperativi da onorare. Bisogna emergere nel mucchio di insegne che convivono gomito a gomito, che si inaugurano ogni santo giorno e si inabissano il mese seguente, in un ciclo vitale sempre più frenetico. L’odierno ruminare di nuove tendenze e innovative mescolanze ha una stella polare, riassunta in un entusiastico neologismo: instagrammabile. La panacea di tutte le crisi è guadagnare l’approvazione del popolo dei social. Anche in questo caso, tuttavia, possiamo riassumere la nouvelle vague in un ristretto numero di punti nevralgici. Vediamo quali. Tavoli La tovaglia non è instagrammabile. È risaputo. È roba da raccolta differenziata. Il tavolo deve offrirsi nudo e crudo all’occhio dell’influencer. Va pulito, tra un turno e l’altro, freneticamente con una strazza umida, che assorbe, nel corso della sera, i residui di ogni precedente passata. E le posate? In assenza di tovaglia, dobbiamo poggiarle direttamente sul tavolo? Non sia mai. È previsto un comodissimo spessorino sul quale sistemare i rebbi della forchetta e la punta del coltello. Sono minimi parallelepipedi da cinque centimetri per uno. L’equilibrio è decisamente precario, ma ci dà l’opportunità di ingannare l’attesa, tra un piatto e l’altro, sperimentando la nostra attitudine alla giocoleria. Non di rado, il portaposate è un pezzetto di legno. Evitiamo di domandarci come fanno a lavarlo. Sedie Notavo che, da un po’ di tempo in qua, s’è perso il rapporto ergonomico tra tavoli e sedie. O sono io che son cresciuto o le sedie si sono prese dei centimetri, costringendoci a ingobbirci sul piatto per poterci sfamare decentemente. Eppure, mi dicevo, la statura media degli italiani è in costante aumento. Come mai, allora? Ho avuto una illuminazione: è per favorire le riprese dall’alto dei piatti, tipiche dei social. Il mio mal di schiena è un regalo indiretto del popolo di Instagram. Grazie, amici. Lampade Avrete notato l’improvviso proliferare di lampade a lungo stelo sui tavoli dei ristoranti. Ci sono sedicenti bistrot con tavolinetti grandi come un francobollo, sui quali si fatica a incastrare due piatti, il cestino del pane, la bottiglia del vino. Perché aggiungere un inutile elemento d’arredo che sottrae spazi vitali? Suvvia, quei deliziosi lumini mortuari sono uno strumento in comodato d’uso agli influencer, grandi e piccini, che richiedono una luce particolare per gli scatti da pubblicare su Instagram. Camerieri Al diavolo il vecchio pinguino incravattato, col grembiale annodato sotto la piega della pancia. Al rogo le divise, le camicie celestine, le giacche scure. Molto più instagrammabili i camerieri in maniche di t-shirt, con le braccia foderate di tatuaggi tribali. Scenografia Dicono gli esperti di food marketing che, per avere successo, i ristoranti debbono radicare una precisa e connotata identità. Come dargli torto? Il problema è che si coltivano gli opposti estremismi, pur di guadagnare un briciolo di visibilità. Luci da mezzogiorno agostano o buio pesto. Musica a tambur battente o vociare assordante di chiacchiere e stoviglie, scenografie da film horror o panorami asettici come astanterie. Non scandalizziamoci, però: la logica del disagio, dopotutto, è musica dei tempi nostri. E nessuno la suona meglio di Instagram.