in cucina

VALE
IL VIAGGIO

di Gabriele Zanatta

Non solo enoturisti, anche i foodie girano il mondo alla ricerca di un piatto. E i ristoranti ringraziano

Un piatto di Maison Pic.

Quali molle scattano nella testa dei viaggiatori dopo le catene forzate del Covid? Secondo il Rapporto sul Turismo Gastronomico Italiano, nel 2021 il 13% delle prenotazioni ha avuto come scopo mangiare e (soprattutto) bere. Sono le due leve più importanti, appena dopo i tour culturali, al primo posto col 27%. Cantine e ristoranti appena dietro a monumenti e musei, dunque, una febbre collettiva che il biennio horribilis della pandemia ha solo rallentato, prima di ri-decollare nel 2022 e, galoppare più di prima nel 2023. Se stiamo al solo turismo gastronomico – tolto il prefisso “eno” – l’ultimo ventennio ha decretato l’ascesa vertiginosa dei foodie, quei turisti che, dopo essersi assicurati il volo, si scapicollano prima di ogni altra cosa a prenotare subito il ristorante più ambito di quella destinazione. Potere dell’irrazionale chef-mania dell’epoca globale, ma anche della crescente propensione di cuochi e ristoratori a dar valore al proprio territorio; al genius loci, dicono i colti. È l’affermazione culturale di un’insegna come specchio di un luogo: “Vieni da me che ti racconto nei piatti tutte le eccellenze del mio territorio”. Andare al ristorante è diventato dunque quasi come andare al museo. E, in più, mangi bene.


Un piatto del Central.