L’età del vino, le stagioni del pubblico. Stevie Kim Il vino invecchia. E questa non è una cattiva notizia. Anzi: la sua capacità di evolvere nel tempo, raccontando qualcosa di diverso a ogni stagione, è una delle sue caratteristiche più affascinanti. Diverso è quando a invecchiare sono il suo pubblico e il suo linguaggio. Parlare di vino non può significare usare sempre lo stesso tono. Il pubblico cambia con l’età, l’esperienza, l’attitudine. Avere vent’anni nel 2025 non è come averli avuti negli anni Novanta, figuriamoci negli anni Sessanta. Tra un ventenne al primo calice e un collezionista di Barolo c’è un oceano comunicativo: il racconto, le modalità e gli strumenti vanno adattati. Gioventù: tra reel, bollicine e rivoluzione I giovani bevono vino. Non tutti, non tanto quanto vorremmo e forse non quello che ci aspettiamo, ma lo bevono. E, soprattutto, lo condividono. Sui social, intendo. Per chi immagina il vino come un culto per pochi, questa generazione può sembrare irriverente. Ma la giovinezza risponde a spontaneità e immediatezza, a contenuti visivi, istintivi, brevi. Parliamo di meme, reel, storie: format leggeri, ma non per forza superficiali. Sono nativi digitali cresciuti con TikTok, Spotify e algoritmi che filtrano tutto. Parlano un’altra lingua e il vino, se vuole farsi ascoltare, deve impararla. Per i giovani, il vino non va spiegato: deve coinvolgere e sedurre, deve essere accessibile e contaminato. Lo Champagne? Anche un’icona trap. Il Lambrusco? Protagonista di un World Lambrusco Day itinerante. Il vino è lo sfondo di una cena, un tramonto, della foto perfetta.