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Settembre 2025

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Inverno 2024-2025

Mangiavino - Numero 30

Vitae 46 è il numero di settembre 2025 della rivista ufficiale dell’Associazione Italiana Sommelier, una pubblicazione che da sempre unisce competenza tecnica, passione e cultura del vino. In questo numero, l’attenzione si concentra sul rapporto tra il tempo, le generazioni e le stagioni, esplorando come il vino si intrecci con la memoria, la tradizione e l’innovazione. L’editoriale di Sandro Camilli apre con un omaggio ai sessant’anni di AIS, ripercorrendo la storia dell’associazione e sottolineando l’importanza delle celebrazioni che animeranno il 2025. Eventi come la Giornata Nazionale AIS per la Sostenibilità e il Sociale e la presentazione della nuova Guida Vitae 2026 confermano il ruolo dell’Associazione come punto di riferimento nel mondo enologico italiano. Tra i contributi di maggiore rilievo spicca l’articolo “Le figlie del Barbaresco” di Massimo Zanichelli, un viaggio nelle Langhe attraverso le voci delle donne che oggi guidano aziende storiche come Ca’ del Baio, Albino Rocca, Moccagatta, Castello di Neive e Cigliuti. Racconti familiari, memorie contadine e vini che custodiscono radici profonde si intrecciano in un dialogo generazionale che arricchisce il futuro del Barbaresco. Gabriele Gorelli MW firma “Il Modello Sonoma Coast”, analisi delle dinamiche vitivinicole californiane che mettono in luce il valore del Pinot Noir e dello Chardonnay in un contesto di microterroir e approcci sostenibili. Un confronto ideale con la tradizione europea che arricchisce lo sguardo internazionale della rivista. Il tema della vendemmia, affrontato da Morello Pecchioli in “Il rito della vendemmia”, restituisce il fascino di una pratica che ha segnato la civiltà contadina, tra ricordi poetici, canzoni popolari, riferimenti biblici e trasformazioni moderne. Un racconto che oscilla tra mito e realtà, tra memoria collettiva e attualità agricola. Altri articoli esplorano i mille volti del vino: Fabio Rizzari in “Palette di colori e aromi” approfondisce le sfumature sensoriali e i territori meno conosciuti della Francia; Roberto Cipresso prosegue il suo viaggio nei sensi con un focus sull’acidità come elemento vitale della degustazione; Bruno Petronilli riflette sul “territorio interiore”, legando il vino a dimensioni più intime ed esistenziali. Non mancano incursioni nella storia e nella cultura: Roberto Bellini racconta un secolo di Rioja, mentre Luigi Caricato dedica attenzione all’“età dell’oro” dell’olio, ampliando l’orizzonte enogastronomico della rivista. Con uno stile che unisce rigore tecnico e sensibilità narrativa, Vitae 46 si conferma non solo come strumento per i professionisti del vino, ma anche come lettura affascinante per chi cerca nel calice una chiave per comprendere territori, storie e tradizioni. Questa edizione diventa così un ponte tra passato e futuro, tra l’eredità di chi ha costruito la cultura del vino in Italia e nel mondo e l’energia di nuove generazioni pronte a raccoglierne la sfida.

Editoriale.

Le figlie del Barbaresco.

Il rito della vendemmia.

Palette di colori e aromi.

Viaggio nei sensi. L’acido.

L’età del vino, le stagioni del pubblico.

Il territorio interiore.

Cien años de Rioja.

AnnIverSary 60.

It.nerari: Briosa Via Emilia.

Guida Vitae ’26. (Ante)prima che arrivi in stazione.

Hopinionista “Lo Champagne del Belgio”.

L’Osservatolio: L’età dell’oro per l’olio.

Photo & Co.

Leggi l'estratto "AnnIverSary 60."

Leggi l'estratto "Guida Vitae ’26. (Ante)prima che arrivi in stazione."

Presentazione in audio podcast

Presentazione in video podcast

Il territorio interiore. Bruno Petronilli Il ricordo olfattivo di Mauro Uliassi, la raffinatezza lombarda di Cracco e Sacchi, l’ecosistema vivo e selvatico di Edoardo Tilli: tre visioni opposte e complementari ridefiniscono il legame tra cucina d’autore e identità locale. Alta cucina e territorialità: un dualismo memorabile che mi accompagna – e sul quale mi interrogo – da sempre. Da quando ho iniziato a fare il critico gastronomico, recensendo i migliori ristoranti dell’Umbria oltre venticinque anni fa. Ricordo, in particolare, un giovane chef, molto tecnico ma completamente scevro di emozionalità, che officiava in un ambiente meraviglioso, un castello alle porte di Perugia. Aveva una reverenza palese nei miei confronti, avendolo più volte manganellato per ricette imperfette e preparazioni prive di equilibrio. Ma era su una questione che lui riteneva imprescindibile che mi faceva letteralmente uscire di senno: la sua integralista e ridicola convinzione che usare solo materie prime del territorio significasse elevarsi a un livello superiore di alta cucina. Una limitazione al gusto inconcepibile: una sublime ricetta con una spigola, usando la tinca al posto del nobile pesce, diventava di una banalità sconcertante. Non c’era nulla da fare, non lo capiva. Uscì dai miei radar, lasciò la ristorazione attiva e si mise a insegnare… In verità, neppure io allora comprendevo veramente, e fino in fondo, il concetto di alta cucina e territorialità. Erano altri tempi per carità, in venticinque anni è cambiato tutto in termini di consapevolezza, conoscenza, tecnica e formazione. Anche per me, non solo per gli chef. E oggi parlare di quel binomio tanto inflazionato significa andare ben oltre l’abilità e la materia. È l’ispirazione e la mentalità che c’è dietro una ricetta a fare la differenza. Ci muoveremo in un ambito in cui cucinare grandi piatti non è sufficiente. C’è bisogno di ben altro.

Rivista Vitae 46: storie, cultura e degustazioni. Il vino raccontato da AIS tra tradizione, territori e nuove generazioni.