Persino il titolo dell’opera mi sa di dozzinale! Quelle scene buffe poi, farebbero ridere... se non facessero piangere; i versi sono tutto quello che volete, fuorché poesia: esempligrazia

De’ fantasmi lo spavento
Più non provo farmi guerra
(pag. 27)
Se voi scacciate questa pentita
Andrò per balze gridando aita,
Ricovro ai monti, cibo alle selve

E fin le belve ne avran pietà. (pag. 28)

Se non è poetico quel gridar ricovro ai monti, e quel gridar cibo allo selve, io non saprei dove pescare di meglio: proprio che fin le belve devono sentirne pietà!

A te sia gloria, o Dio clemente, Padre dei miseri, onnipossente,
A cui sgabello sono le sfere
(pag. 28)

Questo sgabello mi richiama alla memoria le stragrandi iperbole del delirante Seicento, in cui si svisceravano i monti, si facevano sudare i fuochi, e il sole (o la luna che fosse) veniva battezzato salvo errore, la gran frittata del padellon del cielo!

Vita gaia, avventurosa
Cui non cal doman né ieri, ecc...
(pag 44)

Che ne dite di cotesto sonoro Cui non cal doman? Mi ricordo (oggi è il giorno (delle reminiscenze) un famoso Inno dedicato il 20 settembre del 1872 da un impiegato del Municipio Romano al Principe Umberto che aveva passato in Roma una rivista militare; eccone i primi versi:

Fosti Umberto esposto al sol
E alla lun potevi stare
Senza mai dover tremare
Perché il tuo coraggio è gran