Ceraudo vini e ristorante dattilo
Strongoli Marina (Crotone)
Susy e Caterina Ceraudo incarnano l’immagine dei loro vini: un concentrato di bellezza mediterranea, specchio di quell’Italia meridionale caratterizzata da ricchezza di colori accesi. La stessa che traspare dai tratti somatici delle ragazze. Insieme a Giuseppe, loro fratello, aiutano il padre Roberto, gentiluomo di campagna con un animo nobile, lo stesso che emerge dai suoi figli. Sul rispetto della terra che produce vino, olio e frutta si basa l’educazione che Roberto ha voluto infondere ai suoi ragazzi. Quando nessuno nel “profondo Sud” sapeva cosa significasse fare agricoltura biologica e biodinamica, lui, con lungimiranza, ha voluto creare un’azienda impostata su questi principi.
Arrivando a Dattilo, nel comune di Strongoli Marina, a pochi chilometri dalla più nota Crotone, si legge: “Felice è colui che fa felici gli altri”. È proprio questo il mantra con cui le sorelle Ceraudo sono cresciute.
Susy, la primogenita, ha vissuto la nascita dell’azienda di famiglia con un padre che necessariamente si occupava di tutto: dalla vigna al vino, dalla coltivazione degli ulivi alla produzione dell’olio, oltre alla cura degli agrumeti. Susy ricorda: «Era l’inizio degli anni Ottanta, avevo circa sei anni, e mio padre piantò tutte le vigne. Si dedicava completamente all’evoluzione e alla crescita dei vigneti sperimentando la conversione biologica. A tredici anni mi ritrovavo in cantina per aiutare nell’imbottigliamento, un gioco per me, che non comprendevo nulla di ciò che stava succedendo se non la fatica di etichettare i vini a mano. Il vino è la mia vita e in mezzo ai miei familiari, i guardiani della Tenuta di Dattilo e tutti i collaboratori di mio padre si respirava un clima di grande collaborazione per produrre vini naturali. Con mio fratello (Caterina non era ancora nata, all’epoca) cercavamo di bere qualche sorso di vino, ma papà Roberto lo vietava: era “solo per i grandi”».
Nel 1987 nacque Caterina. Nessuno immaginava che sarebbe diventata l’enologa di casa per poi immergersi nella cucina del ristorante di famiglia. Per Caterina era ancora il periodo dei giochi quando Susy, che studiava e lavorava nel tempo libero in cantina, decise di proseguire gli studi universitari. D’accordo con il padre, lasciò la terra natia per trasferirsi a Pisa, dove abitavano dei parenti, e iniziò la facoltà di Economia. In realtà avrebbe desiderato fare il medico, ma gli esami di ammissione a Medicina erano complicatissimi; il padre cercò di farle cambiare idea consigliandole Agraria.
Certo l’illuminato genitore desiderava costruire un’azienda immaginando in seguito una gestione dei figli e l’ampliamento degli spazi: voleva creare dapprima un agriturismo e poi un resort. Il progetto fece riflettere Susy sul suo futuro e la decisione fu di rientrare in Calabria. Sul finire del 2003 la struttura doveva aprire con l’inaugurazione del ristorante.
Nonostante Susy vivesse questo ritorno alle origini come una forzatura, perché avrebbe desiderato viaggiare e perfezionare la conoscenza delle lingue straniere, la vicinanza al mondo del vino cominciava a interessarla di più. Iniziò a frequentare i corsi di formazione per degustatori oltre a fare conoscenza con i vini più blasonati durante i viaggi a Verona, in occasione del Vinitaly. La comparazione con i vini di famiglia, a volte, la faceva scontrare con le idee “puriste” di papà Roberto che, pur essendo un sognatore, aveva i piedi ben piantati nella sua terra e cercava di coinvolgere la figlia in tutto ciò che riguardava l’azienda.
Susy seguì l’apertura del ristorante con la consulenza di un talentuoso cuoco, Frank Rizzuti, purtroppo prematuramente scomparso. L’inesperienza era senza confini, e la ragazza si ritrovò a gestire problemi fin dall’inaugurazione. Ancora ricorda un episodio bizzarro: «La sera dell’inaugurazione era previsto l’arrivo di oltre trecento persone. In cucina il clima era molto teso e la cuoca che affiancava Frank decise di abbandonare i fornelli, presa dal panico. Ebbene, mi misi un grembiule e andai dritta in cucina. C’era una tensione incredibile ma una protezione divina ci fece lavorare lo stesso e la serata fu un successo. Dal giorno seguente iniziai a occuparmi dei fornitori con gli acquisti diretti ai mercati locali, ortofrutticoli e pure ittici. Al Sud i mercati erano ambienti governati da uomini e io, unica ragazza, non venivo rispettata. Mio padre comprese immediatamente il mio disagio e mi sostituì perché temeva che l’irriverenza e il pregiudizio potessero ferirmi, e preferì organizzare questi aspetti dell’azienda in altro modo».
A Dattilo Susy era occupata su più fronti: dalla gestione dell’ufficio al contatto con i clienti e soprattutto allo sviluppo dei mercati stranieri, che il padre aveva già esplorato con successo. I suoi giri intorno al mondo avvenivano attraverso sinergie con l’ice (Istituto Commercio Estero) e con la Regione Calabria, che molto lentamente cercava di farsi conoscere oltre oceano. Oggi l’azienda è tra le più conosciute della regione, continua la filosofia bio e non ha mai perso di vista l’identità di un territorio che si ritrova nei calici Ceraudo.
Nel 2010 Susy ha sposato Luigi, avvocato calabrese, con il quale ha avuto due bellissimi figli: Roberta e Giuseppe. Oggi si dedica all’azienda di famiglia ricoprendo un ruolo commerciale, di marketing e una supervisione di tutti gli aspetti finanziari. Non ultimo il lavoro in sala del ristorante Dattilo. Tutto questo conciliando il ruolo di moglie e mamma e sognando, in un futuro non lontano, di aprire un ristorante a New York, con tutta la sua famiglia all’opera, senza scordarsi della cantina in Calabria, che immagina innovata per tecnologia enologica.
«Il vino ha cambiato radicalmente il mio carattere donandomi quella calma che mi permette di riflettere. Se guardo al mio passato, trovo molta impulsività, mentre oggi sono una donna diversa. La natura ti trasforma perché l’ambiente ti catalizza e fa riflettere su ciò che hai intorno: attraverso un’annata infelice o un cattivo raccolto delle olive capisci la tua impotenza di fronte alla natura, che deve essere rispettata. Come dice mio padre, se la rispetti ti premia, e questo lo devi vivere come un dovere nei confronti di ciò che ti appartiene», sostiene Susy.
Intanto la giovane Caterina cresceva e diventava una ragazza intelligente e curiosa, e trasformava la sua passione per la cucina in una seria professione, come era scritto nel suo dna. Ma andiamo per gradi. Tutto nasce dal suo rapporto con il vino: «La vigna e il vino sono parte della mia vita. A differenza dei miei fratelli, ho avuto maggiori privilegi nel nascere quando Dattilo era già, in gran parte, quello che è ora, quindi la mia infanzia e la mia giovinezza sono state più spensierate delle loro. Dopo il liceo desideravo fare il medico, come mia sorella, anzi il chirurgo plastico, per il mio innato senso del bello. Al test di ammissione c’erano duemila iscritti, io arrivai settecentotrentottesima e abbandonai l’idea, ipotizzando in alternativa di iscrivermi all’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, il polo Slow Food tra Alba e Cuneo. Tuttavia il costo elevato della retta mi costrinse ad altre scelte. Andai a Pisa per frequentare Enologia. Fu un percorso di studi molto complesso».
Caterina studiava e rientrava in Calabria per le vendemmie di casa con grande spirito di collaborazione: non era raro vederla guidare il trattore in mezzo ai filari. L’università la coinvolse in tirocini formativi in Toscana presso due aziende vinicole, Le Macchiole e il Castello di Meleto. Ricordi ed esperienze straordinarie per Caterina, che sentiva sua la vocazione di fare l’enologa. Nel 2011, quando rientrò a Dattilo, avvertì subito la nostalgia dei bei tempi universitari, specie per le indimenticabili degustazioni e i paesaggi vinicoli, profondamente diversi dalla Calabria. Una sofferenza che non passò inosservata a papà Roberto, da una parte felice di riavere la piccola di casa, per giunta enologa, ma allo stesso tempo alle prese con la gestione di una struttura che richiedeva tempo, soldi e molte attenzioni. Caterina cercò di inserirsi nell’azienda approcciando la sua inclinazione enoica sia in cantina sia nella gestione della carta dei vini al ristorante. Anche lei lavorava, la sera, in sala. Si ricorda bene quei tempi: «Cercavo di spiegare i vini che avevo selezionato con entusiasmo, ma spesso mi ritrovavo a servire solo i nostri e mi pareva inutile avere altre referenze se poi la gente beveva solo Ceraudo. Certo, con il senno di poi capisco che fosse più logico bere vini calabresi prodotti nella nostra azienda e abbinati a una cucina del territorio piuttosto di un Barolo, che per quanto blasonato non è sempre affine alle proposte gastronomiche del nostro ristorante. Il vino, per me, nasconde tuttora infiniti segreti. Quando consigliavo un vino immaginavo quella bottiglia bevuta con amici, oppure in un determinato progetto e ambivo a trasferirlo al mio commensale. Un dialogo vero tra la vigna e la bottiglia finale, per attestare quanto fosse stato impeccabile il lavoro tra i vigneti e quanto avesse reso il vino eccellente».
Caterina è una ragazza timida, tenace e con una volontà infinita. Intorno al 2011, grazie al consiglio di una cara amica, decise di cimentarsi in cucina, la sua passione fino ad allora sopita ma smisurata.
Nello stesso anno il ristorante Dattilo conquistò la sua prima stella Michelin ma il comando della cucina iniziò a vacillare per la dipartita improvvisa di Rizzuti. La situazione stava precipitando quando si trovò la soluzione al problema in casa Ceraudo, ovvero Caterina: un vero talento ai fornelli.
Nel 2012, prima di vestire la giacca da cuoca, frequentò la Scuola di Alta Formazione di Niko Romito a Castel di Sangro, in Abruzzo. L’incontro con lo chef tristellato le permise di rendersi conto che quella era la sua strada professionale e l’amore per la cucina vinse su tutto. Per quasi un anno studiò e trascorse i fine settimana nelle cucine del Reale di Casadonna, dove apprendeva il totale rispetto per il cibo e la sua provenienza. Tornata a casa, mosse i primi passi nella sua cucina mettendo a frutto questo concetto: «Lo chef Romito mi insegnò a utilizzare pochi ingredienti per cercare di esaltarne i sapori con un dogma costante di equilibrio e leggerezza, sia nel dolce sia nel salato. Quando tornai a Dattilo mi sentivo carica di responsabilità per la Stella e allo stesso tempo desideravo far emergere il mio stile di cucina».
La tecnica e la passione non erano sufficienti, ma si rivelarono un grande inizio per la giovane Ceraudo.
Se l’impulsività ha comandato molto la sua fase adolescenziale, oggi dimostra un maggiore autocontrollo. La convivenza con i tegami ha migliorato quest’aspetto, perché Caterina asserisce che «come per fare un buon vino ci vuole tanto tempo, quindi c’è una grande attesa prima di assaggiarlo, così partire dalla materia prima per creare un piatto genera attesa per il risultato finale».
Certo, il rientro al ristorante in Calabria è legato anche a ricordi non idilliaci, come quando decise di mettere in menu un agnello che aveva studiato con i suoi docenti a scuola, applicando una cottura meno prolungata di quella cui erano abituati i commensali di Dattilo. Caterina non lo dimenticherà mai: quella sera al ristorante c’erano quaranta ospiti e in cucina tornarono ben trentacinque piatti con l’agnello intonso. La sua reazione fu disperata, pianse ma rimase ferma sulla sua decisione di cuocere poco l’agnello... Di fronte a un rifiuto così unanime, però, capì di essere in errore. Lungimirante, papà Roberto aveva deciso di far provare il piatto al ristorante nonostante fosse consapevole dell’errore in atto. Aveva permesso lo sbaglio della figlia per farle capire che il suo punto di vista non era assoluto. In quell’occasione, Caterina disse al padre: «Tu hai scommesso su te stesso e il successo di oggi ti ha dato ragione, io ho bisogno del tuo appoggio perché questo è il mio sogno e lo voglio realizzare». A quel punto si bevve un bicchiere di Gaglioppo in purezza e le idee furono più chiare per tutti. Il vino permette anche questo, un ristoro per la mente e l’anima che infonde gioia celando energia positiva.
Caterina è stata premiata dalla Guida Michelin 2017 come miglior donna chef e lo stesso premio le era già stato consegnato da Paolo Marchi a Identità Golose nel 2015, senza contare molti altri riconoscimenti esteri.
Per il futuro si vede nella sua terra, nell’azienda di famiglia. La sua cucina e i suoi vini sempre al centro. E, dice, «non mi stancherò mai di studiare, perché tutti i progetti sono perfettibili».
Certezza assoluta, proprio come quella felicità annunciata a chi varca la soglia di Dattilo.