Tenuta di Fessina
Castiglione di Sicilia (Catania)
Silvia Maestrelli è una bella donna, bionda, profondi occhi chiari e la fortunata caratteristica, ereditata dalla madre, di non dimostrare la sua età. Di lei ti colpisce subito un segno particolare: lo sguardo magnetico.
Toscana di nascita e milanese d’adozione, abita con la figlia Lavinia a Milano, a due passi dal Duomo, dove ha creato il suo quartier generale, ma la sua dimensione di viaggiatrice errante la porta spesso in Chianti e in Sicilia, nella zona dell’Etna, oltre che in giro per il mondo.
I suoi vini sono una suprema sintesi della “Montagna di Fuoco” ed esprimono nei calici l’eleganza senza tempo di un luogo magico.
Ma andiamo per gradi, la narrazione del viaggio che ha portato questa donna del vino dalla Toscana all’Etna è davvero interessante.
Silvia nasce a Firenze da una famiglia “custode” di una grande tenuta in Chianti, Villa Petriolo. Per un lungo periodo si è occupata di mercati immobiliari e finanza, finché è arrivata la necessità di interessarsi maggiormente dell’azienda in Chianti.
«Essere una produttrice di vino significa, nel mio caso, continuare una vocazione di famiglia», ci racconta. «Fu mio padre Moreno, imprenditore, ad acquistare negli anni Sessanta quella che è stata per anni soltanto la nostra residenza di Cerreto Guidi, Villa Petriolo. Oggi quell’alacrità risuona ancora nella passione con cui esprimo il mio vino e narro il mio mondo».
Donna dal carattere forte e sensibile, un binomio insolito, al contempo interessante, Silvia svela una singolare eleganza. È consapevole di essere nata nella Toscana felix, con i privilegi che quei paesaggi rivelano e donano per sempre. È proprio per questo che, entrando nella maturità della vita, ha sentito forte il desiderio di cimentarsi in un progetto tutto suo, dove poter convogliare amore, pensiero ed energia. Un reset, una pagina bianca da scrivere con le tecniche e i colori preferiti. La stessa tavolozza di colori che ha trovato in Sicilia: colori primari, forti, assoluti, dai contrasti che scatenano vibranti emozioni. Indimenticabili il nero delle rocce basaltiche, il verde brillante delle vigne in quota, il bianco radioso delle nevi sul vulcano, senza scordare i rossi pompeiani delle antiche case patrizie che si intravedono tra i boschi e i filari, e per finire quel giallo vivido, al debutto dell’estate, omaggio singolare della fioritura delle ginestre. Come non rimanere affascinati da una simile prospettiva di vita?
Silvia acquistò la Tenuta di Fessina nel 2007 sulla scia di un innamoramento per questa parte di Trinacria dalla mirabile ricchezza, dove emerge una perfetta quadratura tra terra, cielo, acqua e fuoco. Come si dice al Sud, è una terra di fimmine. Simbolicamente anche la Muntagna è donna, unica perché sintesi femminea irruenta, imprevedibile, generosa ed elegante.
Silvia ricorda con dovizia di particolari il suo metter piede in terra etnea e l’impatto con i contadini siciliani: un vero disastro. Nessuno di loro poteva credere che una ragazza raffinata, vestita con abiti e accessori griffati, potesse avere la tenacia di non arrendersi ai commenti, di evidente irriverenza, per la sua figura femminile... Tutti erano prevenuti e la accolsero con infinita diffidenza mettendola alla prova con dinamiche alquanto maschili. Pranzi smodati in mezzo alla campagna dove il bon ton veniva accolto con astio. Nulla fermò la convinzione di Silvia di voler conquistare la sua affidabilità di donna vigneron oltre gli stereotipi, andando al di là delle apparenze fisiche per esplorare le emozioni dell’anima.
Oggi il ruolo aziendale di Silvia copre sia la parte commerciale sia il marketing e la comunicazione. All’estero potrebbero definirla one woman band ossia un ruolo poliedrico che la immerge completamente a Fessina, un legame indissolubile tra lei e la terra del vulcano.
Certo è che questa donna esterna la sua personale ammirazione per l’Etna proprio come il bene supremo, quasi un legame madre e figlia, l’esaltazione naturale di un amore, incondizionato come il dono materno: «Il vino può senza dubbio nutrire la nostra anima. Parafrasando il vulcanico maestro catanese Franco Battiato, credo proprio che il vino sia il mio “centro di gravità permanente”, una sintesi perfetta che descrive la mia nuova vita da vigneron sull’Etna, alla guida di una di quelle aziende che hanno rinnovato la recente storia vitivinicola della Muntagna».
Un decennio fa, quando su suggerimento di Salvo Foti, padre dell’enologia etnea, acquistò la Tenuta di Fessina, a Castiglione di Sicilia, coinvolse subito Federico Curtaz, brillante e intuitivo agronomo piemontese già collaboratore della famiglia Maestrelli e ventennale consulente di Angelo Gaja. Decise di affrontare la terra del vulcano lavorando i suoi sette ettari di vecchie vigne composte di Nerello mascalese, Nerello cappuccio, Carricante e Minnella, tutte vigne di un’età compresa tra i settanta e i novanta anni. Oltre a questa proprietà c’era il palmento settecentesco, un locale adibito alla pigiatura dell’uva, severo e fascinoso come un vecchio saggio ben racchiuso tra due sciare secolari, colate laviche del passato che isolano creando una protezione al maltempo. Era certa di aver fatto nascere un’azienda fimmina, «forse la prima in quella zona e in un mondo ancora così fortemente maschile, e non alle pendici del vulcano ma a ben 670 metri sul livello del mare».
La bellezza, la sensibilità, la cultura e l’arte furono elementi fondanti come lo erano le potature, le legature, i diradamenti fatti a mano perché tutto, nel fare il vino in un certo modo, fa parte di una visione complessiva e deve esprimere chi sei e come vedi il mondo. Ecco il senso materno, l’idea di una cantina-casa che accogliesse gli amici come gli appassionati oltre ai clienti di tutto il mondo, perché trovassero nella Tenuta di Fessina la loro espressione più genuina, senza orpelli o sovrastrutture.
Una sensibilità che si racconta anche attraverso l’ospitalità delle cinque suite, sobriamente arredate, con rispettosa ispirazione ai luoghi in cui nascono, e con cui si vuole disegnare la nuova cifra progettuale della Tenuta.
Anno dopo anno proprio quei suoli scuri, sabbiosi, minerali, adornati di alberelli, accuditi come nuovi figli da mani sicure e con una moderna visione enologica, iniziarono a dare il meglio di sé generando vini che stupiscono per la ricchezza e la complessità dei loro profumi, per le eleganti strutture e il carattere. Tutta la mineralità raccolta nelle viscere della terra muta in profumi, svelando con l’assaggio rari equilibri, ottimi elementi per predire grande longevità a questi vini cosiddetti “del fuoco”, senza esclusione per i bianchi.
Certo, il fuoco dell’Etna simboleggia un protagonista in bilico tra la distruzione e la rinascita. Dapprima elimina e poi cede elementi vulcanici per creare il famoso terroir. Le coltivazioni praticate si possono definire consapevoli, ossia si agisce sulla vite in maniera minimale; il risultato del lavoro in vigna si trasferirà dapprima in cantina e poi lo si degusterà nei calici.
Silvia ne è sicura: «Il vino mi ha trasmesso un modo di vivere più paziente, mitigando la mia parte istintiva e facendomi maturare. Il rigore che la natura ti impone si allinea al rispetto, elemento essenziale per ottenere il meglio e fare un grande vino».
Un reale senso di libertà senza confini, tra la terra, il cielo e il vulcano. Tutto questo riempie di significato, peso, valore quello che Silvia Maestrelli compie sull’Etna: «È l’inizio di una nuova storia nata con me e che mi auguro di riuscire a tramandare a mia figlia Lavinia. È la mia lezione di vita, tutta al femminile, il mio messaggio di donna e mamma di oggi che, con coraggio e spirito d’iniziativa, ha accolto e sviluppato una passione travolgente».