Raffaella Bologna
Enologa e Responsabile Comunicazione

Braida
Rocchetta tanaro (Asti)

Nascere a Rocchetta Tanaro è un valore aggiunto. Siamo nell’Astigiano. Qui, nel 1994, l’alluvione del fiume Tanaro sommerse oltre settanta comuni. Tra questi fu pesantemente colpita Rocchetta, poco più di millecinquecento abitanti tra boschi e vigne nel cuore del Monferrato.

Raffaella definisce così la sua terra natia: «Non è un semplice paese, è il centro del mondo. Chi conosce Rocchetta e la vive lo sa bene: è la culla della “quieta follia”. Il nostro medico, che è anche cantautore, Paolo Frola, dice: “Il mio paese non è una sorpresa / Sono dieci vigne, sei case, una chiesa”. Questa canzone fu scritta con Gianni Mura, bevendo la Barbera di Rocchetta, e di quelle dieci vigne cantate da Frola alcune sono Braida.»


Raffaella Bologna è figlia di Anna e Giacomo Bologna. Un pezzo di storia piemontese che celebra la Barbera Bricco dell’Uccellone, un capolavoro del padre, che ha elevato questo vitigno facendone un vino conosciuto in tutto il mondo.

Proprio i genitori le hanno trasmesso un profondo rispetto per la terra, i vigneti e il mondo che la circonda, un rispetto che viene dal passato. Le vigne cantate da Frola erano di nonno Giuseppe, poi sono passate a papà Giacomo e adesso sono coltivate da Raffaella e da suo fratello Giuseppe. La descrizione delle sue terre, che può ammirare dalle finestre di casa, ha una dovizia di particolari che arriva al cuore.


Raffaella parla e gli occhi tradiscono il suo desiderio di casa, la voglia che c’è sempre di tornare quando – spesso – il lavoro la tiene lontana. Osservare la natura, capirne l’equilibrio e il ritmo lento sono per lei elementi importanti per far bene il suo lavoro. Quando ha bisogno di concentrarsi, passeggia fino ad arrivare in una piccola radura che domina i vitigni del Bacialé, un vino che nasce da un perfetto matrimonio della Barbera con altre uve – proprio come il suo nome, bacialé, che in dialetto piemontese indica lo sponsale, colui che combina i matrimoni.

Si siede lì, tra un pino marittimo, un glicine e un ippocastano. Questo è il suo “posto dei pensieri”, dove si prende il suo tempo per riflettere. Sul vino, sui progetti futuri. Sempre con uno sguardo al passato.


Quello che è oggi, come donna del vino, l’ha imparato anche dai suoi genitori e dal loro spendersi per gli altri. Giacomo e Anna Bologna hanno lasciato un segno profondo, la loro anima ha reso i vini Braida indimenticabili. E in questi ultimi dieci anni, da quando i genitori sono mancati, i loro sogni sono diventati quelli di Raffaella e Giuseppe.

È con grande emozione che Raffaella comincia a raccontare: «Il vino nutre la mia anima. Mi porta a stare in compagnia, ad ascoltare e condividere storie di vita. Mi guida all’assaggio, all’abbinamento con profumi e gusti dei cibi di tutto il mondo. Il fatto che io sia un’appassionata e curiosa donna del vino ha disorientato e insieme fatto innamorare mio marito, Norbert, medico austriaco che ha preferito il Piemonte al Tirolo e ha abbandonato la sua professione per diventare l’export manager di Braida. Il nostro bambino, Riccardo, ci chiede ogni giorno quanti e quali clienti serviamo, in quale nazione, che lingua parlano, a quanti chilometri vivono da noi, impressionato e orgoglioso del fatto che i vini Braida siano richiesti in luoghi bellissimi del pianeta e siano abbinati ai piatti più strani: “Coccodrillo e Barbera? Ma siamo pazzi?!”».


La decisione di diventare enologa non stupì papà Giacomo. Il suo percorso professionale è stato orientato con certezza verso il mondo del vino. Dopo le superiori, Raffaella decise di frequentare la Scuola enologica di Alba, una delle più conosciute scuole classiche del vino. La specializzazione in Enologia l’aveva già scelta da qualche tempo, e Alba le piaceva per l’ambiente vivace e stimolante degli imprenditori vinicoli e non solo. Appena mise piede nella scuola, il vicepreside sbottò con suo padre: «No! Un’altra donna? Non sa che è meglio un buon cantiniere che un pessimo enologo?». Il padre di Raffaella la guardò negli occhi e le disse: «Tu quest’uomo lo devi sorprendere!». Riuscì nell’intento e fu proprio il vicepreside misogino a portarla all’esame, sei anni dopo.


Ottenuti il diploma e la specializzazione, Raffaella andò a fare il tirocinio in Friuli dalla famiglia di Marco Felluga, noto produttore della regione. Nata e cresciuta in una terra di grandi rossi, voleva fare esperienza sui bianchi. Un’esperienza di grande fascino, in una regione di confine. Un mondo diversissimo da Rocchetta Tanaro. Quando tornò a casa, nel 1988, voleva fare un vino bianco floreale, giovane, che non richiedesse la pazienza del lungo invecchiamento: un vino che somigliasse alla Raffaella di quegli anni. Del bianco le piaceva quel carattere schietto, dinamico... Non la affascinavano le esperienze troppo slow.


Non fu facile convincere papà Giacomo, “rossista” per eccellenza, a investire su un vitigno a bacca bianca. Quando Raffaella gli chiese di produrre un vino bianco, per tutta risposta il padre le mostrò il braccio: «Di che colore è ciò che scorre nelle vene? Rosso. Quindi, Barbera». Alla fine però accadde, la tenacia di Raffaella fece cambiare idea al grande signor Bologna e insieme acquistarono la tenuta Serra dei Fiori a Trezzo Tinella, un comune in Langa tra Mango e Alba.

Decisero di puntare sulla Nascetta, un vitigno autoctono piemontese di uve semiaromatiche praticamente in via d’estinzione all’epoca; nel 1990 si piantarono le prime barbatelle e nel 2008 il Langhe Nascetta ricevette la doc. Un vino che esprime la freschezza attraverso note agrumate, frutta esotica e non teme il tempo, in quanto svela con gli anni la mineralità. Una bella intuizione per un prodotto che molti paragonano ai grandi bianchi della valle del Reno.


Dopo il tirocinio da Felluga ci furono gli studi negli Stati Uniti, tra la California e Seattle, e il grande arricchimento di esperienze dall’altra parte del mondo. Purtroppo il papà si ammalò e la giovane di casa Bologna dovette rientrare alla base, in Piemonte. Con un filo di emozione ricorda che nel 1989 gestì tutte le fasi della vendemmia al telefono con papà: dalla raccolta delle uve in vigna alla pigiatura a tutte le lavorazioni in cantina.

Certamente la perdita del padre prima e della mamma poi l’hanno motivata a esprimere al massimo ciò che è Braida, ad accettare una sfida il cui senso profondo era lavorare affinché la traccia segnata dai suoi genitori non si disperdesse, fosse tenuta viva, e anzi alimentata e rigenerata. Con il fratello Giuseppe ha seguito questa traccia profonda creando vini che sono, allo stesso tempo, la realizzazione dei loro sogni: il Bacialé, il Montebruna e la nuova versione della Serra dei Fiori, che li ha portati a puntare sulla purezza per alcune varietà come Riesling e Nascetta.


«Il vino non porta segreti. Il vino svela, è libertino. Bruno Lauzi, amico di famiglia e cittadino onorario di Rocchetta Tanaro, lo ricordava spesso: chi beve vino non scrive lettere anonime», sostiene Raffaella. Il vino ha mitigato il suo carattere. Suo marito la paragona a una grande Barbera perché una volta era più dolce e con il tempo ha acquistato una piacevole acidità, elemento fondamentale per questo vino e aspetto singolare per accentuarne l’inconfondibile identità territoriale. Per questo la risposerebbe, aggiunge subito.


In ogni caso, il vino la conserva e «un giorno senza vino è un rischio per la salute».

Se c’è una cosa che Raffaella non teme è l’evoluzione del suo marchio, dei suoi vini e della sua terra: basta invecchiare bene, proprio come il buon vino! Il suo futuro vorrebbe riempirlo di incontri, di arte, di ironia, di cose buone, di condivisione. Certo il rispetto per la natura è un dovere che sente di voler trasmettere, in primis al figlio Riccardo, insieme ai valori che ha appreso dai suoi genitori. Non come obbligo, ma con l’esempio.