Tenuta castiglion del Bosco
Località castiglion del Bosco, Montalcino (Siena)
Cecilia Leoneschi, toscana, presta il suo talento di enologa alla Tenuta Castiglion del Bosco di Massimo Ferragamo, a Montalcino. Una donna che ha fatto del suo amore per il vino una professione in cui mette l’anima ogni giorno, dalla vigna al vino. Il vino, o meglio, il vigneto e il vino sono parti integranti della sua vita: quest’affermazione, che può sembrare banale, acquista in lei una forza e un’evidenza straordinarie.
Cecilia nasce in una famiglia di cultura contadina e da sempre è stata affiancata e supportata da un padre vignaiolo. I suoi le hanno raccontato di quando fu affascinata dalla visione di un semplice grappolo d’uva appoggiato sulla tavola. Era molto piccola, avrà avuto sì e no tre anni. Questo colpo di fulmine tra lei e l’uva si tradusse in un rituale ludico che la divertiva moltissimo. Staccava tutti gli acini per farli roteare come palline, ma non li mangiava subito: prima li metteva dentro un bicchiere di vino, poi li gustava uno a uno con aria sognante. Per il suo babbo e gli amici vignaioli era un gesto inconfutabile, che segnava un futuro già segnato di donna del vino. Certo l’opinione dei genitori era spesso divergente: se per la mamma la figlia stava solo imitando qualche anziano signore che inzuppava del pane nel vino, tipico “dessert” di quei tempi, il babbo immaginava Cecilia in cantina, sognando per lei una carriera enoica di successo. Credo che la mamma potesse aver ragione, anche se, conoscendo meglio l’enologa di oggi, mi piace pensare che la sua passione abbia preso corpo proprio in quel preciso momento. Del resto Cecilia è nata a settembre, mese delle vendemmie, e abituata sin da piccola all’inebriante profumo dei primi mosti di Sangiovese già in fermentazione nella piccola cantina di famiglia.
La vendemmia rappresenta un momento cruciale del calendario, nel quale spesso si decidono le sorti di un’intera annata. Le giornate limpide, ventilate, calde di giorno e fredde nella notte caratterizzano e identificano sempre “il” settembre delle grandi annate: «Questo andamento climatico, premonizione di una buona annata, mi riempiva di luce e di energia positiva. La sensibilità delle donne le rende affini e predisposte alla natura. Noi donne percepiamo emozioni e stimoli naturali grazie alla nostra sensibilità, che solo pochi uomini riescono ad avere. Questa caratteristica ha marcato tratti fondamentali del mio carattere e del mio modo di vivere la vita. Terra, profumi, piante, animali, microrganismi: ho bisogno di essere costantemente connessa a tutto ciò che è vivo per sentirmi bene».
Il suo amore per il vino è generato da un legame profondo con la natura; non ha mai capito perché, anche durante gli studi universitari, la cantina fosse descritta come “industria” enologica. La cantina è “una vigna con il tetto” dove la vita, dall’esterno, si sposta all’interno e con la trasformazione delle uve si ottiene l’amato liquido che ben conosciamo.
La storia di Castiglion del Bosco fu scandita da una frequentazione del luogo da parte delle più prestigiose famiglie senesi ed è importante sottolineare che nel 1967, anno di nascita del Consorzio del Brunello di Montalcino, la tenuta ebbe un ruolo da protagonista tra i sette soci fondatori; oggi i soci sono oltre duecento.
Nel 2003, quando si recò nei pressi del Vigneto Capanna, parte integrante dei 1800 ettari della tenuta (62 vitati, di cui 52 a Brunello), Massimo Ferragamo fu catturato dall’unicità di quel posto affacciato su Montalcino, nel Parco della Val d’Orcia. C’erano tutti gli elementi per creare un grande Brunello, vigne ideali per produrre un vino elegante, dal 2013 in conversione biologica. E proprio questa sfida fu accolta da una determinata Cecilia Leoneschi che, al colloquio con il dottor Ferragamo, mostrò la sua tenacia a voler fare un Brunello elegante ma franco. Una cantina dalla struttura moderna, con una sala di degustazione e una bottega curata con millesimi stellari.
Cecilia dichiara, con la fermezza che la contraddistingue: «Iniziare a lavorare con Ferragamo è stato come realizzare un sogno nel cassetto, ma allo stesso tempo ero un po’ in ansia per il fatto di trovarmi circondata da un mondo super lussuoso che, a volte, trovavo distante dal mio modo di pensare. Ebbene, mi bastò qualche stagione in cantina per farmi cambiare idea e concentrarmi sulla produzione di un grande Brunello. Capii che un vino d’eccellenza doveva essere “nutrito” da una struttura altrettanto importante, proprio come Castiglion del Bosco. Per fare un grande vino non basta il mio impegno. Non siamo noi, né tantomeno le attrezzature, gli artefici di questo miracolo; tutti quanti siamo spettatori, talvolta attori, di un cortometraggio del quale mai saremo registi, perché la natura fa questo per noi».
L’enologa sostiene che il vino può nutrire la nostra anima a patto che si percepiscano la storia, i luoghi, le persone che “beviamo” con ogni sorso. Non serve essere enologi o degustatori per questo: basta chiedere, leggere, visitare, al fine di farsi svelare come e dove quel vino che hai dentro un bicchiere ha avuto origine. Non si tratta di una semplice bevanda: siamo di fronte a un miracolo della natura che cela un mondo autentico e rispettoso. Poterne scoprire anche solo una parcella regala una gioia profonda che scalda l’anima.
Se non fosse diventata enologa, Cecilia avrebbe voluto fare la veterinaria. Amando molto gli animali, giunse a Castiglion del Bosco insieme a due dei suoi tre cani. Ciò evidenzia la sinergia tra mondo agricolo e mondo animale, che nella sua visione sono molto vicini.
Questa donna esile ha un carattere forte e complesso, le piace mettersi alla prova, confrontarsi e migliorare. Certo in questo gli uomini sono maestri, sempre molto più agguerriti e competitivi di noi donne, ma la minuta enologa toscana, cresciuta a pane e Sangiovese, non si arrese alle prime difficoltà incontrate in quel mondo. Non sempre è stata ben accetta agli uomini, in termini professionali. A volte ha pensato che quello del vino fosse un ambiente troppo crudo e concreto per una donna come lei, un mondo che lasciava poco spazio a intuizione e sensibilità. Tuttavia, ancora una volta, è stato proprio il vino ad aiutarla. Vedere, toccare con i sensi quello che era in grado di fare fu la prova delle sue capacità e questo la spinse ad andare avanti sempre a testa alta.
Oggi è diverso, Cecilia Leoneschi è una donna matura che vede il confronto con gli uomini utile e costruttivo. Il loro senso pratico in agricoltura è fondamentale e la loro costanza è importante in cantina, dove i vini vanno seguiti, metodicamente, per anni. L’intuito femminile e la capacità delle donne di usare i sensi completano il lavoro degli uomini, a volte molto faticoso: è bello vederli lavorare insieme. Il vino è qualcosa che unisce, non divide mai.
Quasi un decennio fa, questa ragazza metteva in pratica la professione di enologa avvicinandosi alla gestione del vigneto dopo diversi anni di intenso lavoro in cantina. È stata un’evoluzione che ha ritenuto indispensabile quando ha cominciato a vedere il suo lavoro completo al cinquanta per cento: «È impensabile fare un vino eccezionale se non si conoscono le caratteristiche delle uve, se non si osserva la pianta riposare durante l’inverno, emettere i germogli in primavera e portare avanti per mesi i suoi preziosi frutti». Oggi la stessa sensibilità che mette nella degustazione Cecilia la usa in vigna, sempre alla ricerca dell’equilibrio perfetto, sia nel bicchiere sia nel vigneto.
Con il vino esprime se stessa e ha mitigato il suo carattere. Osservare e capire l’equilibrio della natura l’ha resa meno impulsiva, allontanando la fretta dal suo essere. Cecilia conferma: «Per natura devo andare, fare, cambiare, per crescere e migliorare. Da ragazza tendevo a farlo in maniera frettolosa e compulsiva. Oggi, dopo tante vendemmie e tanti anni di vinificazione e affinamento dei miei vini, sento che la lentezza, la pazienza, la calma sono necessarie affinché tutto avvenga in maniera impeccabile e resti parte di me».
Come si vede in futuro? Esattamente come oggi: seduta con un bicchiere di vino davanti a un tramonto, in cima a un bellissimo vigneto. Sente di avere una grande responsabilità che non è solo quella di produrre vini importanti, ma quella che deve avere chiunque sia in contatto con la terra. Deve trasmettere a chi lavora con lei e a chi beve i suoi vini cosa significhi avere rispetto per la natura. È un concetto profondo, che va oltre il biologico, oltre il basso impatto ambientale. Tutti dovranno fare in modo che la produzione enologica sia un anello di un ciclo naturale e che l’uomo non sia uno “sfruttatore” di risorse ma che, operando con sensibilità e rispetto, diventi un “preservatore” di questi importanti tesori, altrimenti destinati a esaurirsi. Il suo sforzo in futuro sarà questo: produrre ogni anno grandi vini rispettando la terra e i vigneti che ne permettono magicamente la rigenerazione.