Le Pergole Torte

MONTEVERTINE
Loc. Montevertine 1 - Radda in Chianti (Siena)

Anno di fondazione dell’azienda:
1967

Prima annata prodotta:
1977

Proprietà:
famiglia Manetti

Produzione media:
15 000 bottiglie

Staff tecnico:
Martino Manetti; Paolo Salvi, enologo; Ruggero Mazzilli, agronomo

Vitigni:
sangiovese

Non c’è da farla troppo lunga con Montevertine e Le Pergole Torte, basta vedere gli appunti sui metodi di vinificazione e affinamento forniti direttamente dall’azienda: in un rigo, un rigo e mezzo c’è scritto tutto. Forse per non farsi carpire i segreti? Neanche per idea. È solo perché se la terra è buona, la vigna è sana, vive e produce uva altrettanto sana e gustosa, non c’è bisogno di chissà quali alchimie per fare un vino buono. Questo, ne sono certo, ti risponderebbero a Montevertine. E la spiegazione potrebbe essere sufficiente se, appunto, il vino prodotto fosse “soltanto” buono; in realtà in questo luogo si realizza un vino eccezionale e allora dover trovare razionalmente i motivi di tale unicità diventa un compito arduo. Tuttavia, anche se su Montevertine la letteratura si amplifica ogni anno di più, tre parole tre, giusto per riepilogare i fatti, sarà pure il caso di dirle. E allora è necessario partire dal capostipite, il padre di Martino, Sergio Manetti che, dopo vari incarichi manageriali, aveva deciso di rilevare l’azienda siderurgica fondata dal bisnonno a Poggibonsi. Tornato alle origini, incontra un altro poggibonsese famoso nel mondo del vino, vale a dire il mitico “Bicchierino” alias Giulio Gambelli, un vero artista dell’assaggio, grande conoscitore del sangiovese e del vino in genere. E allora decide di far diventare una cosa un po’ più seria quel vino che ricavava da quella piccola vigna a Montevertine, poco oltre Radda in Chianti. La vigna era intorno a una bella casa di campagna che Manetti aveva comprato pochi anni prima, nel 1967, a un’asta promossa dalla diocesi di Fiesole per la cifra di tre milioni e mezzo di lire. In breve, Sergio Manetti capì subito che, per fare un vino importante in Chianti, non si potevano mantenere le uve bianche nell’uvaggio, come previsto dal disciplinare di allora, e neanche il canaiolo e altri vitigni complementari. Fino a quel punto, si potrebbe obiettare, non c’era arrivato solo lui, ma la vera novità era quella di rinunciare a miscelare, pratica radicatissima in Toscana, più uve insieme, ricorrere cioè all’uvaggio o blend che dir si voglia: sostituisco le uve bianche con il cabernet sauvignon e il gioco è fatto. No! Sergio Manetti ha preceduto tutte le forme di marketing arrivate una ventina di anni dopo e legate alle storie, serie e meno serie, sul territorio, sui vitigni autoctoni, sui cru e via dicendo, realizzando il primo vino a base di solo sangiovese in tutto il Chianti Classico. In questo nuovo secolo le redini aziendali sono passate, dopo la scomparsa di Sergio, al figlio Martino che, magari con la complicità di annate favorevoli, ha prodotto un’impressionante sequenza di bottiglie da urlo che ben poco ha da invidiare alle glorie passate e che, in buona parte, è raccontata qui di seguito.