4. REGISTRO NAZIONALE E VARIETÀ IDONEE IN PIEMONTE: QUALCHE NOVITÀ A cura di Stefano Raimondi La legislazione comunitaria e quella italiana prevedono, come è ben noto, che le aziende vitivinicole possano coltivare per la produzione di vino da commercializzare, esclusivamente le varietà che siano iscritte ai Registri nazionali e che siano inserite tra quelle idonee alla coltura nelle singole unità amministrative (in Italia in molti casi coincidenti con le Regioni). Tra le Regioni italiane, il Piemonte è una di quelle in cui sono idonee alla coltivazione un elevato numero di varietà locali (quelle che spesso e non sempre correttamente chiamiamo autoctone), sia maggiori (pensiamo al Dolcetto o al Nebbiolo) sia minori. Una tale ricchezza è dovuta a molteplici fattori. Alcune di queste varietà locali piemontesi erano già state iscritte al Registro nazionale e autorizzate alla coltura sul territorio regionale a partire dagli anni ’70 e ‘80 dello scorso secolo, quando il Registro è stato costituito. Tra queste vi sono sia cultivar maggiori (come Barbera, Moscato bianco e Nebbiolo) sia varietà che, sebbene minori e tipiche di aree ristrette, sono ancora coltivate su superfici più o meno limitate, come l’Avanà, l’Arneis o il Timorasso, ma anche varietà che pochissimi conoscono e coltivano, come la Durasa, la Plassa o la Lambrusca di Alessandria. Altri vitigni sono stati iscritti al Registro nazionale in tempi successivi alla costituzione del Registro, con un iter dapprima sperimentale e poi burocratico che si è ripetuto diverse volte negli ultimi decenni, portando alla possibilità di coltivare nuovamente sul territorio regionale numerosi vitigni tradizionali. Tra di essi vi sono nomi ancora poco noti, come quelli di Slarina, Malvasia moscata, Montanera, Baratuciat, Bian ver. Anche se tutti questi vitigni (e altri) sono ormai coltivabili da molti anni, la superficie impiantata cresce lentamente, anche perché spesso non hanno ancora denominazioni a loro dedicate o non possono entrare in purezza in molte delle denominazioni già esistenti. Ma qual è il processo che ha portato al recupero in coltura di queste varietà? Lo stimolo ad autorizzare nuovamente alla coltivazione questi ed altri vitigni locali, la cui coltura si stava perdendo, in alcuni casi è partito dalle istanze stesse dei viticoltori. Alcuni di essi, infatti, ancora ne conservavano qualche pianta insieme al ricordo del valore dei loro vini e hanno così sostenuto la loro rivalutazione; altre volte l’autorizzazione alla coltura è stata un’opportunità a cui si è arrivati dopo un lungo processo di salvataggio e di studio. Il lavoro preliminare, infatti è costituito dall’attività di recupero delle vecchie varietà nei vigneti storici che ancora le conservano e dalla loro propagazione nella collezione regionale di Grinzane Cavour, avviata dalla dottoressa Anna Schneider (e in seconda battuta da chi scrive) per il CNR. Sulle parcelle conservate nella collezione, grazie a progetti di caratterizzazione ampelografica, agronomica ed enologica, per molti anni finanziati dalla regione Piemonte e a cui ha partecipato anche Vignaioli Piemontesi, è stato possibile selezionare alcune varietà particolarmente promettenti e quindi avviare l’iter per la loro autorizzazione. Ovviamente non tutti i vitigni studiati si guadagnano la possibilità di essere nuovamente coltivati dalle aziende. Molte delle varietà caratterizzate, pur restando una parte fondamentale della storia viticola del Piemonte, non hanno le potenzialità per destare l’interesse di aziende e consumatori. Quelle interessanti affrontano invece un processo in due fasi. L’iscrizione al Registro nazionale delle varietà di vite è il primo passo: per questa fase è necessario dimostrare che la varietà soddisfa i cosiddetti criteri ‘DUS’ (ovvero distinguibilità, uniformità e stabilità). Nella pratica la cultivar va dettagliatamente descritta nella sua morfologia e ne viene prodotto un profilo genetico per l’identificazione, al fine di dimostrare che è una varietà distinta da quelle già iscritte al Registro. La seconda fase, ovvero quella di inserimento tra i vitigni idonei alla coltivazione nell’unità amministrativa, consiste nel dimostrare che la varietà è adatta alla coltivazione nell’ambiente regionale (tramite rilievi fenologici e agronomici) e a produrvi vini di qualità (vinificazioni sperimentali). Questi rilievi devono essere ripetuti per almeno tre anni. In Piemonte, l’iter di iscrizione al Registro nazionale e di inserimento tra le cultivar idonee alla coltura è stato condotto, per la gran parte delle varietà, da un ristretto gruppo di partner scientifici e sperimentali: l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che ha visto impegnata in quest’opera la citata dottoressa Schneider e il sottoscritto, l’unità di microbiologia e industrie agrarie del DiSAFA - Università di Torino, principalmente con l’impegno dei professori Vincenzo Gerbi e Luca Rolle, la Vignaioli Piemontesi, con i numerosi tecnici che negli anni hanno seguito questi progetti. Alcune iscrizioni sono state tuttavia ottenute da altre istituzioni, come il CREA di Asti, o da privati.