5. IMPARARE DALLE CRISI: LEGGERE IL PRESENTE PER CAPIRE IL FUTURO CON L’AIUTO DEGLI ESPERTI A cura di Alessandra Biondi Bartolini Nel gergo aziendalistico con il termine di crisis management ci si riferisce alle azioni che si possono intraprendere per affrontare una crisi legata a un evento, più o meno improvviso, che mette a rischio la sopravvivenza dell’organizzazione. Se l’evento da affrontare è la crisi climatica e all’organizzazione sostituiamo il settore vitivinicolo, questo è esattamente l’approccio che il mondo del vino, dell’innovazione e della ricerca, dovranno avere nei prossimi anni per sviluppare un piano di azione flessibile e individuare tutti i possibili interventi di adattamento per il vigneto di domani. Forse tuttavia non siamo all’anno zero, perché nella gestione della crisi possiamo dire senza dubbio che il 2022 sia stato lo stress test, ma anche, come dimostrano molti dei dati presentati nelle pagine dei capitoli precedenti, che i vigneti e le viti lo abbiano superato abbastanza bene, come spiega Maurizio Gily: “Quest’anno ci siamo davvero stupiti della resilienza delle viti. Salvo qualche vigneto giovane che ha sofferto un po’ di più, tutto sommato sono bastate poche piogge tra la fine di luglio e la metà di agosto per permettere alle piante di reagire e di sbloccare una situazione che si presentava critica”. Per prepararsi al clima che cambia e alle emergenze dei prossimi anni occorre anzitutto analizzare l’evoluzione degli eventi e valutare le possibili soluzioni. È quanto desideriamo fare in questo capitolo, con l’aiuto degli esperti, professionisti e scienziati della vite e del vino, profondi conoscitori delle condizioni ambientali e produttive della viticoltura del Nord Ovest, ai quali abbiamo chiesto di spiegarci il comportamento della vite in situazioni come quelle appena affrontate, e di raccontarci quali siano stati gli interventi più efficaci e quali saranno necessari o disponibili nel prossimo futuro. Ad accompagnarci in questo percorso sono stati gli agronomi piemontesi e , dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, dell’Università di Torino e dell’Università di Milano. Daniele Eberle Maurizio Gily Matteo Gatti Silvia Guidoni Leonardo Valenti Matteo Gatti Silvia Guidoni Leonardo Valenti Daniele Eberle Viti resilienti e preparate al peggio L’osservazione di quanto avvenuto in vigneto converge su una situazione cosiddetta “a macchia di leopardo” con una forte eterogeneità nella risposta alle condizioni ambientali del comportamento vegeto produttivo. In funzione della diversa suscettibilità dei vitigni, esposizione, caratteristiche idrologiche dei terreni, gestione agronomica ecc, si sono cioè registrate situazioni e manifestazioni di maggiore o minore stress idrico, termico e radiativo. “In realtà quello che si è visto nei vigneti in generale non è stato negativo come si era previsto” osserva Leonardo Valenti “La vite è molto resiliente e le vigne che avevano una certa età in Lombardia così come in Piemonte non hanno avuto particolari problematiche, mentre forse le vigne più giovani di 2, 3, 4 o 5 anni, soprattutto laddove era stato lasciato un carico produttivo eccessivo, hanno probabilmente pagato dazio e qualche danno più consistente c’è stato”. Alcune situazioni critiche anche serie tuttavia si sono verificate, osserva Matteo Gatti riferendosi in modo particolare alla zona del piacentino, dell’Oltrepò pavese e del Sud del Piemonte: “Localmente ci sono stati fenomeni di inibizione della funzionalità fogliare, scottature dei grappoli, disidratazione e appassimento degli acini; condizioni che rafforzano la necessità di identificare soluzioni nuove e adatte a un vero e proprio cambio di paradigma.” Oltre alla gestione agronomica che vedremo nei prossimi paragrafi, spesso a fare la differenza sono stati i suoli: “Da quanto abbiamo potuto osservare ritengo che ci sia stato un effetto notevole della composizione e dell’origine pedologica dei suoli, e quindi che la profondità degli strati lungo il profilo abbia potuto in qualche modo aver rappresentato un buffer per la resistenza allo stress” continua Gatti “In questo non solo la tessitura e la capacità idrica ma anche la giacitura è stata un fattore determinante.