4. LE CULTIVAR DI MAGGIOR SUCCESSO TRA QUELLE RECENTEMENTE AUTORIZZATE A cura di Stefano Raimondi L’occasione dell’Annata Vitivinicola in Piemonte 2023 ci consente di proseguire quest’anno il discorso iniziato un anno fa, quando avevamo presentato le ultime novità in merito ai vitigni autorizzati alla coltivazione in Piemonte. Se lo scorso anno abbiamo focalizzato l’attenzione sulle cosiddette cultivar ‘in osservazione’, ora cerchiamo di approfondire la conoscenza di alcune varietà pienamente autorizzate negli ultimi venti anni, ma che restano comunque ‘minori’ per via della scarsa superficie che finora interessano. In merito a quest’ultimo aspetto, le cultivar scelte per questa presentazione, hanno avuto un’accoglienza diversificata: alcune di quelle autorizzate da più anni, infatti, hanno avuto un successo ben inferiore ad altre di più recente autorizzazione. Altre ancora le abbiamo per il momento tralasciate perché sostanzialmente non hanno avuto alcuno sviluppo a seguito della loro autorizzazione o lo hanno avuto limitatamente ad areali molto ristretti. Le cause che hanno portato a queste differenti affermazioni, tuttavia, non sono determinate da soli dati oggettivi, come la maggiore o minore qualità dei prodotti che forniscono, ma sono spesso legate anche all’opera di viticoltori singoli o più o meno associati, che hanno preso a cuore una o più varietà, diffondendole. È il caso, ad esempio, di Slarina e Baratuciàt, cultivar che non hanno caratteristiche comuni (nemmeno il colore dell’uva, l’area di origine o la sensibilità alle patologie), ma che hanno avuto diffusione comune soprattutto in alcune aziende del Basso Monferrato, tra loro collegate da rapporti di conoscenza e collaborazione. Ricordo infine che la ripresa in coltura di queste varietà è stata resa possibile grazie all’attività di un gruppo affiatato che comprendeva i ricercatori del CNR - IPSP di Torino per la parte ampelografica e viticola e quelli del DISAFA - Università di Torino per la parte enologica. Attualmente diverse congiunture hanno reso mutilo questo gruppo, venendo a mancare in Piemonte un’istituzione che si occupi abitualmente di ampelografia. Una situazione che comincia a far sentire il suo peso, considerando che, per lo stesso motivo, anche la selezione clonale è ferma nella nostra regione, in attesa che qualcuno provveda a riprendere queste attività in forma istituzionale. Ma veniamo ora a delineare un profilo di questi sei vitigni minori piemontesi di recente autorizzazione, iniziando da quelli che hanno occupato le superfici maggiori. Baratuciàt Questo vitigno è un buon esempio di come le mutate condizioni ambientali degli ultimi decenni, generate dal riscaldamento globale, possano influire sul successo o sull’abbandono delle varietà di vite. Il Baratuciàt era infatti originariamente un’uva da tavola tipica di un ristrettissimo areale tra la bassa valle di Susa e la vicina collina morenica posta tra la Dora Riparia e il Sangone, zona dove era citato alla fine dell’Ottocento. Oggi, avvantaggiato dai fenomeni di riscaldamento del clima, il Baratuciat si è trasformato in uno dei vitigni minori da vino di maggior successo tra quelli di recente riproposta. A partire dal 2008, anno della sua autorizzazione, la superficie ha attualmente raggiunto circa 20 ha. Una tale crescita è ancor più strabiliante se si pensa che è partita sostanzialmente da un’unica pianta, quella che il compianto signor Giorgio Falca allevava a pergola sull’ingresso del suo orto ad Almese (TO). E proprio per l’interessamento di questo meritorio viticoltore è iniziato il processo di caratterizzazione e di recupero del vitigno ad opera del DISAFA dell’Università di Torino e dell’allora Istituto di Virologia Vegetale del CNR. Oltre che nella sua zona di origine e in postazioni più occidentali ed elevate nella valle di Susa, il Baratuciàt si è gradualmente diffuso anche in diverse aziende monferrine, in particolare nell’area centrale del Basso Monferrato, e ne esistono ormai impianti anche nelle Langhe. Caratterizzato da un vigore elevato e da un portamento molto assurgente, il Baratuciàt produce grappoli piuttosto piccoli con acini grandi e decisamente allungati (da cui il nome, che parafrasa quello tradizionale di Berlòn ‘d ciat, ‘testicoli di gatto’). I mosti che ne derivano sono spiccatamente acidi e mai eccessivamente zuccherini. La loro particolarità sarebbe l’aroma, che ricorda quello del Sauvignon, originato anche da composti tiolici. Va però detto che l’intensità e la percettibilità di questi sentori, che si ritrovano anche nei vini, varia molto a seconda dell’ambiente di coltura, diminuendo via via che mancanza di azoto, stress idrico e insolazione riducono il vigore e la vegetazione della pianta. Così molti dei vini attuali, benché piacevolissimi per freschezza (data dall’acidità) e struttura, non sono così tipicamente profumati.