5. IMPARARE DALLE CRISI, LEGGERE IL PRESENTE PER PROGETTARE IL FUTURO CON L’AIUTO DEGLI ESPERTI A cura di Alessandra Biondi Bartolini I fenomeni per i quali la viticoltura dovrà a breve trovare delle strategie efficaci si stanno susseguendo anno dopo anno con frequenza crescente, offrendo anche in Piemonte uno spaccato di quanto ci aspetterà in un futuro ormai prossimo. Dalla “palestra di adattamento alla crisi climatica” abbiamo tratto insegnamento (o avremmo dovuto farlo) con la gelata tardiva nel 2021, lo stress idrico e termico nel 2022 e l’impatto delle malattie e degli insetti dannosi nel 2023. Se attribuire le conseguenze degli stress termici, idrici e radiativi al mutamento delle condizioni climatiche rappresenta un esercizio tutto sommato semplice, sicuramente più complessa, ma non per questo di minore importanza, è la relazione esistente tra gli effetti della crisi climatica e l’impatto sulle colture delle malattie e dei parassiti delle piante. La difficoltà è legata al fatto che le mutate condizioni ambientali influiscono sia sul ciclo delle malattie crittogamiche e degli insetti, sia sulla fenologia della vite, modificando i periodi di esposizione dei tessuti più suscettibili all’attacco delle avversità. Allo stesso tempo anche la perdita della biodiversità microbica, animale e vegetale, presente nell’ecosistema del vigneto, esercita un impatto negativo sulla sua stessa resilienza, e non ultimo alcuni studi recenti stanno dimostrando come l’incremento delle temperature influisca in modo diretto sulla capacità delle piante di attivare i loro meccanismi di difesa e resistenza. Questo capitolo è dedicato ad approfondire dal punto di vista tecnico e scientifico i temi più importanti che, nella valutazione del contrasto e dell’adattamento al cambiamento climatico, ogni stagione ci offre. Lo abbiamo fatto analizzando l’impatto delle temperature e della siccità sui vigneti piemontesi nel 2022 e lo facciamo quest’anno parlando di avversità della vite. Ad aiutarci a descrivere l’annata, comprendere i rischi emergenti e gli sviluppi delle strategie di protezione e lotta, ma anche a fare alcune osservazioni sui bisogni futuri di ricerca, sono gli esperti, scienziati, professionisti e responsabili del servizio fitosanitario regionale: Alberto Alma e Vladimiro Guarnaccia dell’Università di Torino, Paola Gotta e Chiara Morone del Servizio Fitosanitario della Regione Piemonte, Laura Mugnai dell’Università di Firenze e l’agronomo Matteo Monchiero. L’ANNO DELLA PERONOSPORA E NON SOLO Sebbene con intensità minore rispetto ad altre regioni italiane, il 2023 sarà sicuramente ricordato per la diffusione e l’intensità degli attacchi di peronospora che tuttavia, in quanto presente da più di 150 anni, non possiamo considerare realmente come un’emergenza. La difficoltà riscontrata nella gestione della peronospora, soprattutto tra i produttori biologici che hanno avuto talvolta problemi non indifferenti, osserva , è riconducibile soprattutto alla scarsità di strumenti e prodotti a disposizione per il controllo di questa malattia e all’impossibilità di intervenire in modo tempestivo a causa della durata dei periodi piovosi nel corso della primavera. “Con eventi eccezionali e piovosità elevate e prolungate come quelle di quest’anno poi, potrebbero tornare a essere un problema anche malattie che avevamo in parte quasi dimenticato, come ad esempio l’escoriosi, il e l’antracnosi. E se da un lato alcune malattie, come la , non stanno dando più i problemi di un tempo, altre molto gravi come le malattie del legno si stanno diffondendo e ci impegneranno molto nei prossimi anni. Ma anche la manifestazione delle malattie che ormai avevamo imparato a gestire come la peronospora, sta cambiando. Ad esempio spesso si hanno temperature che anche di notte, quando c’è bagnatura fogliare, sono elevate. E tenendo conto che, come sappiamo dai manuali di patologia vegetale, la peronospora produce la sua fruttificazione dopo almeno 4 ore di buio, un numero maggiore di notti con temperature favorevoli aumenta il numero delle potenziali infezioni. Il patogeno resta attivo per periodi più lunghi e non si ferma se non quando le temperature superano i 35 gradi”. Anche gli inverni sono mediamente più caldi: “Quella invernale è una fase di sviluppo del patogeno che ci sfugge e nella quale un supporto fondamentale viene dai modelli epidemiologici o previsionali e i sistemi di supporto alle decisioni DSS” aggiunge Monchiero “che ci aiutano a stabilire quando le piogge primaverili diventano pericolose. L’uso di questi sistemi negli ultimi anni ci ha sicuramente permesso di intervenire in modo più razionale e sostenibile”. Matteo Monchiero black rot Botrytis cinerea