osteria, che Verona!
Morello Pecchioli

In occasione del Vinitaly, un affascinante viaggio tra le vie storiche della romantica città di Giulietta e Romeo e i profumi antichi delle sue osterie.

Fin che gh’è vin, ghe sarà Verona. La profezia popolare è di facile comprensione. Può sembrare grossolano o stravagante che una città leghi il suo destino al vino, ma a Verona il vino è sacro come l’amore di Giulietta e Romeo, l’amicizia e le ciàcole all’osteria, la poesia di Berto Barbarani e l’arguzia di Bertoldo.

“Qual è il vino migliore?” gli chiese un giorno re Alboino. “Quello che si beve in casa d’altri” rispose l’astuto contadino.

Ironica e giocosa, Verona è una città che sorride. Proprio come i suoi personaggi più celebri. Sorride san Zeno, il vescovo moro patrono della città, che amava l’acqua - quella dell’Adige, dove andava a pescare trote col suo pastorale -, ma quando predicava il “mirabile cammino della perfezione cristiana” prendeva spunto dal vino e dal lavoro dei contadini nella vigna e in cantina: la messa a dimora delle piantine, la potatura, il diradamento, la pigiatura, la torchiatura e la sistemazione del “dolce succo” in grandi botti “perché invecchiando si perfezioni”. Un sermone di vino per magnificare il Divino. Una lezione di altissima spiritualità e, contemporaneamente, una preziosa testimonianza sull’importanza della vite nel territorio veronese nei primi secoli della cristianità.

Sorride Cangrande della Scala sul suo cavallo, anch’esso sorridente, al Museo di Castelvecchio. Il munifico Signore di Verona ospitò alla sua corte Dante Alighieri e il poeta fiorentino lo ripagò con il più eccelso dei regali: gli dedicò la terza cantica della Divina Commedia, il Paradiso. Nel suo esilio veronese l’Alighieri, abituato al pane sciocco toscano, si rese conto di come “sa di sale lo pane altrui”, ma annegò la nostalgia per il vino chiantigiano nel rosso nettare della Valpolicella: “... guarda il calor del sole che si fa vino, / giunto a l’omor che de la vite cola”. Vino apprezzato anche dai suoi discendenti: il figlio Piero acquistò un poderino Gargagnago, nel cuore della Valpolicella dove, ancora oggi dopo ventuno generazioni, i conti Serego Alighieri suoi discendenti producono vini nobili, di tempra ghibellina: Amarone, Recioto,Valpolicella. Ride Verona, urbs multibibens, enocapitale d’Italia, e fa ridere gli stranieri. Soprattutto i tedeschi. Hans Barth, corrispondente da Roma del “Berliner Tageblatt” all’inizio del ’900: immenso bevitore e poeta di vino, autore di una Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri, battezzò Verona “osteria dei popoli”. Ispirato da una musa ebbra, Barth cantò la città scaligera con traboccante entusiasmo: “Noi specialisti nel genere la chiamiamo la grande osteria dei popoli; Olimpo, Walhalla, Eden a un tempo; un’osteria potente, coronata di lauro, aureolata di poesia: l’osteria d’Italia! Dammi, o Giove, un’eterna giovinezza e io vorrò andare, camminando sulle ginocchia, a Verona, sognare nel crepuscolo all’ombra del palazzo degli Scaligeri e brindare con Cangrande, con Romeo e con Dante”.