vite e vino nell'Alto Medioevo
Massimo Castellani

Dal V al IX secolo la viticoltura conobbe una grande decadenza che trovò nelle continue invasioni barbariche e nell’instabilità politica e sociale le cause del regresso produttivo. L’effetto fu un abbandono delle colture agricole e la contrazione della produzione e del consumo del vino. Una parziale rinascita avvenne durante il Regno Longobardo (568-774), grazie ad una certa organicità politica ed economica. I Longobardi diedero nuovo impulso alla viticoltura, anche con la diffusione di alcuni vitigni di origine pannonica, come per esempio l’heunisch, ritenuto oggi il padre di settantotto vitigni europei (ved. studi sul DNA condotti dall’équipe dell’americana Carol Meredith dell’Università di Davis e di Attilio Scienza dell’Università di Milano) e di tanti vini prodotti in Europa. Si pensa infatti che con quest’unico vitigno si producessero i tre quarti del vino europeo.

Le numerose testimonianze di età ostrogota ricavabili dalle lettere di Cassiodoro e longobarde dall’editto di Rotari del 643 indicano il vigneto medioevale chiuso da broli e clausure. La viticoltura era praticata quasi esclusivamente nei sobborghi e nelle vicinanze delle grandi città, o addirittura al proprio interno: la toponomastica ha lasciato una traccia ad esempio a Firenze con “via della Vigna Vecchia” e “via della Vigna Nuova”. Nell’Italia meridionale invece si verificò un ridimensionamento della coltura viticola a causa della crescente influenza araba. Seppure il Corano non vietasse la produzione di uva, ma solo il consumo del vino, molte viti furono espiantate in Sicilia. D’altro canto, fu proprio la cultura cristiana a difendere la produzione vinicola, non solo per l’utilizzo liturgico ma anche per il significato simbolico che la vite rappresentava attraverso le letture evangeliche. Non di rado i vescovi erano definiti patres vinearum.


La viticoltura tornò a essere un’attività economica importante nell’età carolingia, durante la quale la vite oltre ad essere nuovamente coltivata in aperta campagna, divenne la ragione per sempre più numerose opere di disboscamento e bonifica operate dagli ordini monastici, primi fra tutti i benedettini. La diffusione della regola benedettina nel X secolo permise l’instaurarsi di nuovi rapporti tra proprietà e contadini, quali la concessione di fondi ad meliorandum e i contratti di pastinato (la messa a coltura di terre incolte), oltre alla modalità di divisione del vino proveniente dai nuovi impianti tra i coloni e la proprietà. Le abbazie e i conventi divennero veri e propri centri vitivinicoli, anche grazie all’aiuto di laici che vi gravitavano intorno. I vigneti erano piantati scavando solchi profondi con l’aratro e utilizzando dei “maglioli”, ossia tralci dell’anno prima, oppure barbatelle. Si usava anche il sistema della propaggine. La vite era piantata bassa e senza sostegno. Essendo la coltura altamente specializzata, richiedeva un apporto continuo di lavoro e doveva essere sorvegliata e protetta da devastazioni e furti. Infatti i terreni erano solitamente recintati con chiusure di siepi o steccati, ed erano prossimi alle abitazioni dei coltivatori.

Talvolta i vigneti erano distribuiti in promiscuità di colture, avvicinandoli ad altre piante da frutto.