il noir in terra di All Blacks
Roberto Bellini

Aotearoa è il nome con cui i Maori chiamavano le due isole, il cui significato, “terra delle lunghe nuvole bianche”, lascia intendere le condizioni climatiche di questa nazione, non certo un buon presupposto o un augurale auspicio per pensare di coltivarci la vite. Quando ciò accadde, qualcuno espresse un ilare scetticismo, ma - come amano dire i wine-maker maggiormente navigati - i più grandi vini del mondo provengono da condizioni di coltivazione alquanto estreme, e qui gli estremi ci sono tutti, non ultima la distanza dalla costa dell’Antartide, soli 2.200 chilometri.


L’espansione dei vigneti si è sviluppata a velocità siderale: erano 6.110 ettari nel 1995, nel 2011 si estendevano per 33.600 (poco più della Champagne); il volume di vino prodotto era invece di 2.350.000 ettolitri. Se confrontiamo questi dati con ciò che accade nelle nazioni europee, come Francia e Italia, tutto questo è paragonabile a un sassolino nello stagno. Eppure ciò che è accaduto in Nuova Zelanda ha del rivoluzionario. La prima vigna fu piantata nel 1818, il primo vino prodotto in maniera dedicata è datato 1840, nel 1908 attivarono una campagna antiproibizionista, nel 1960 fu ammessa la vendita del vino al ristorante, nel 1970 aprì il primo wine-bar e nel 1990 anche i supermarket furono autorizzati a vendere il vino. Tra qualche anno festeggeranno il bicentenario viticolo e la velocità di crescita, soprattutto qualitativa, ancora non sta dando segni di rallentamento, anzi. Fin dall’inizio la chiamarono amichevolmente “white country” per via degli straordinari Sauvignon blanc prima, e Chardonnay poi, vini che scossero l’aplomb enologico del vecchio mondo e stimolarono quello nuovo. Poi decisero di pensare anche in rosso e la prima scelta cadde sul Pinot noir. Qualcuno nella Côte, in quella culla chiamata Vosne-Romanée, ebbe forse un attimo di smarrimento ampelografico nel pensare le Roy de Bourgogne a contatto con le pecore merinos, un connubio non certo raffinato in fatto di espressioni odorose, però la determinazione dei giovani vignaioli Kiwi non sentì ragioni e adesso il Pinot noir neozelandese è una vera superstar enologica.