fenomeno naturale
Samuel Cogliati

I vini “naturali” e i loro artefici, sempre sotto i riflettori, guadagnano consensi tra gli appassionati. Partendo da una definizione oramai condivisa, attraverso modi e mode, stili di vinificazione e di comunicazione, si delineano i tratti peculiari di una produzione che reagisce e si oppone all’impero del convenzionale.

A buon diritto pare che di vini “naturali” non si possa parlare. Nei confronti di produttori e commercianti che vi hanno provato non sono mancate le repressioni, con tanto di sanzioni e procedure giudiziarie. Nel mondo dell’informazione e della critica, invece, l’uso di quest’espressione è lecito - appunto in virtù dell’intento culturale e informativo - ma occorre prima di tutto mettersi d’accordo su che cosa essa significhi. Ed è comunque più prudente usare le virgolette o l’epiteto cosiddetti. (D’ora in avanti ometterò le une e l’altro per pura comodità tipografica). A rigor di logica e di semantica, un vino non può essere naturale, perché è prodotto dell’intervento di un uomo o di una donna sull’ambiente. Nondimeno, finora non sembra essere stato trovato alcun migliore compromesso lessicale, e il dibattito resta aperto, visto che le normative alimentari consentono l’uso di questo aggettivo ad esempio per l’acqua minerale o per lo yogurt.