Il mio primo incontro con Mauro Vannucci risale al Vinitaly del 1999, quando ebbi l’occasione di assaggiare il suo Carmignano Riserva Piaggia dell’annata 1995. Grazie a un favorevole commento sul profilo organolettico del vino, mi guadagnai l’opportunità di degustare l’anteprima dell’annata 1996, ancora in fase di maturazione in bottiglia. Ricordo ancora la mia considerazione finale sui due prodotti: il primo era certamente un vino di ottimo livello, ma il 1996 aveva uno stile differente e lo surclassava per piacevolezza ed eleganza. Mi fece sorridere la simpatica giustificazione di Mauro: “Il vino si fa prima in vigna e poi in cantina, ma in cantina c’è buio”. Scoprii successivamente l’impronta del giovanissimo enologo Alberto Antonini, tuttora consulente dell’azienda, che da subito aveva compreso le prospettive di evoluzione dei vini di Piaggia.
L’ingresso della famiglia Vannucci nel mondo del vino è avvenuto nel 1990 con l’acquisizione, per una circostanza del tutto casuale, di un primo vigneto di circa due ettari e mezzo adiacente ai terreni ghiaiosi del torrente Furba, considerati tra quelli di maggior pregio di Poggio a Caiano, il comune su cui si estende, insieme a Carmignano, il comprensorio della storica denominazione. Fu Cosimo III de’ Medici, nel lontano 1716, a determinare con il Decreto motu proprio e con il Bando i limiti geografici e le norme produttive delle quattro zone a maggior vocazione viticola del Granducato di Toscana, tra cui appunto il Carmignano, creando di fatto uno strumento di tutela e di controllo antesignano delle attuali Denominazioni di Origine. A dispetto di tanta storicità, con il riconoscimento nel 1967 della Doc Chianti, il territorio fu inglobato nella sottozona Montalbano, impedendo così l’utilizzo nell’uvaggio del cabernet, vitigno già presente in zona da almeno tre secoli con il nome, tuttora in uso tra i vignaioli, di “uva francesca”, evidente storpiatura di un aggettivo che ne indicava la provenienza geografica.