L’interesse per un territorio vinicolo può sorgere seguendo i racconti organolettici di esperti e celebri winewriter, oppure perché, visitando alcuni vigneti, si è rimasti ammaliati dalle amene combinazioni ambientali, come ad esempio in Alsazia e Borgogna, o ancora si è affascinati dall’iconografi a enologica che il vino si è costruito negli anni, come lo Champagne, il Barolo e il Brunello di Montalcino. Non credo sia possibile, insomma, individuare una condivisibile esperienza su questa simpatica non querelle.
L’attenzione e la curiosità per la Rioja sono nate sotto un ombrello letterario conseguente alla lettura del romanzo di Noah Gordon, Il Signore delle vigne. Sebbene la storia sia ambientata in Catalogna, molte affinità enologiche s’immaginano leggendo le vicissitudini di Josep, il quale confronta la propria maturazione di vigneron in Linguadoca con il ricordo dei quattro ettari di proprietà familiare coltivati a tempranillo, da cui si produceva solo uno stentato vino da aceto poiché le condizioni ambientali troppo calde infuocavano d’acido acetico tutta la massa.
Quelle vicende così ben raccontate hanno saldato l’aspetto del mio essere curioso con quel limbo del settentrione spagnolo che risponde a un nome molto famoso: Rioja. Già l’etimologia del nome è in antitesi con le valenze del territorio in cui si accoscia. La prima parte del termine deriva da río, “fiume”, la seconda è invece collegata al nome proprio del rio, cioè Oja, sorprendendo un poco gli storici, perché per importanza fluviale sia l’Ebro sia il Tirón sono ben più conosciuti. Pertanto quelle terre a vino sono state denominate La tierra del río Oja e da lì il passaggio al nome Rioja è stato una conseguenza naturale.