Nell’istante in cui il vino entra nella forma che sta per assumere, il tempo, per un attimo, aspetta: alla presenza di noi spettatori avviene l’incontro tra Forma e Contenuto. È un momento sospeso, evocativo, pieno di fascino e aspettative: il liquido, piano piano, penetra nella sua apparenza, nervosamente, rumorosamente, inondando la forma di colore e calore alcolico, spargendo il suo profumo; per poi finalmente placarsi, assestato, assumendo contorni definiti ma non definitivi. Il bicchiere, a buon diritto, si prende parte della scena e, seppur riconoscente, non intende essere totalmente invaso dalla sostanza: esige uno spazio tutto per sé, libero, dove poter manifestare il suo profilo, lasciando a sua volta agio sufficiente al vino, affinché, protetto all’interno, possa respirare comodamente. Una questione di proporzioni e di rispetto reciproco. Finalmente pieno della sua essenza, sprigiona tutto il proprio charme compiacendosi nell’essere afferrato, roteato, elevato alla ricerca di un lampo di luce. Luccicante e ordinato sopra una tavola imbandita, partecipa all’incontro fisico con mani, nasi e bocche voluttuose, attraverso sensazioni tattili direttamente riferibili al seno materno; e un bordo inciso, levigato o meglio ancora arrotondato, correttamente sottile, ben predispone al successivo piacere edonistico, godimento sensuale della vista, dell’olfatto, del gusto e del tatto. Il calice è fi ero del suo contenuto: il bevante, il ventre accogliente, si erge altero sullo stelo e su una base di appoggio, il piede, dove permette a noi mortali di essere toccato, il più possibile lontano dalla sua essenza interna, per non disturbarla.