caro sommelier, auguri Walter Betti Diario di un sommelier per passione con l’ansia da prestazione natalizia. Diciamolo apertamente, senza indugio alcuno, hic et nunc. Chi scrive, come probabilmente larga parte di chi legge, vive uno stato d’ansia che si ingigantisce all’avvicinarsi di un momento dell’anno terribile, devastante, spossante, almeno per un sommelier. Tutto ha inizio con le prime avvisaglie di una lieve sintomatologia intorno a metà novembre: sprazzi inconsulti di rapidi stati confusionali e impercettibili vuoti di memoria si manifestano subdolamente mascherati da innocue distrazioni. La cosa si fa via via più seria e acquista connotati più definiti: diventa razionale la consapevolezza che manca poco... sì manca pochissimo al Natale. Che meraviglia! esclama qualcuno. No, non per te. È una condanna! Un periodaccio durante il quale sei chiamato a dar prova della tua competenza in materia enologica ad amici, vicini di casa e familiari, astemi compresi. La tua giornata si veste d’inferno. Un chiodo rovente penetra nella tua fragile testa fino a scardinare la porta del luogo più importante della mente di un sommelier: la Trattasi di uno spazio ignoto ai soggetti clinicamente normali, una sorta di intercapedine che nessuna ENO-TAC potrà mai intercettare. Pensieri funesti divampano, mettendo a repentaglio l’incolumità di questo sacro rifugio: vitree reminiscenze di bottiglie fragorosamente frantumate, etichette divenute illeggibili o scambiate sadicamente di posto, annate mescolate tra loro a costituire un blend di dubbia piacevolezza e molte altre crudeli nefandezze. cantina cerebrale. Ti appresti ad affrontare l’ennesima festività natalizia in un climax ascendente di circostanze ansiogene. Da novembre cominci a frequentare con assiduità la cantina fisica, quella reale, umida da terrorizzare una lumaca, posta con orgoglio a settanta metri sotto terra e con ingenuità a trenta centimetri dalla metropolitana. Lì trascorri le poche ore libere del giorno e della notte, dotato di un flebile lumino per non profanare il riposo delle dormienti pozioni di felicità. Miri e rimiri le etichette, sussurri rispettoso alle bottiglie che lassù, settanta metri più su, il mondo è ostile e becero, insensibile e gretto. Alcune di esse dovranno immolarsi sull’imbellettato desco, ma non ti è ancora dato sapere quale fisionomia acquisirà la selezione delle predestinate. Non resta che richiudere la cantina e tornare “su negli inferi”. Tale situazione si ripeterà per molte e molte volte, dopo tutto manca ancora un mese. A metà novembre scopri di avere un amico del cuore: il tuo edicolante. Tutte le mattine, appena alza la serranda, al pover’uomo tocca vedere la tua faccia foderata di sonno e sentirti bofonchiare strane parole impastate di dentifricio alle quali farà presto l’abitudine. Con famelica avidità accaparri settimanali, mensili, speciali, annual e decennial che trattano tutto lo scibile su cibo e vino.Ti confidi con lui, lo travolgi con la storia della tua vita - appassionante e senza dubbio meritevole di un colossal hollywoodiano -, gli mostri l’albero genealogico, la patente, l’album di nozze, il diploma di sommelier, senza risparmiargli alcun dettaglio. E alla fine ti tocca invitarlo al pranzo di Natale, come un amico del cuore. Al lavoro la cantina cerebrale ti tiene dolce compagnia in ufficio: nomi di vini, annate e abbinamenti frullano vorticosamente nel cervello ubriacandoti senza toccare una goccia d’alcol. I colleghi ti guardano compassionevoli: “Poveretto, tutti gli anni la stessa storia, da quando è diventato sommelier”. Si fa sera, e tornando a casa transiti davanti alla vetrina di un’enoteca, sul punto di deflagrare da un momento all’altro tanta è la pressione esercitata dalle atmosfere degli champagne stipati ovunque negli angusti spazi. Ti incolli al vetro con lo sguardo spiritato di un maniaco che sceglie le proprie vittime tra le forme generose di inarrivabili jeroboam di boteriana memoria. Dopo qualche giorno sulla vetrina compare l’eloquente invito: “Si prega di non leccare la vetrina, l’abbiamo già pulita noi”. Giunto a casa, dissemini le riviste acquistate nel tentativo di innescare un effetto che sprigioni inequivocabili fragranze di enogastronomia: sullo zerbino, nel frigorifero, sulla tavoletta del water, come tovaglietta americana a colazione, sul tastevin AIS incorniciato a modino. E finalmente la perseveranza e l’attesa sono ripagate: “Caro, tra poco è Natale, bisognerà pensare al menu di quest’anno. Ti stai organizzando con il vino?”. Tu, seduto in poltrona con la vitalià di un peluche, sei costretto a imbastire una risposta disinteressata e addirittura scocciata: “Uff, hai ragione cara, bisognerà iniziare a pensarci...”. brucia essenze Nella cantina cerebrale si scatena il putiferio, con un tintinnio di bottiglie e tappi che saltano, preannunciando un’eruzione emotiva di immani proporzioni. Trascorsa una sola frazione di secondo - coerentemente con l’atteggiamento di assoluto distacco appena mostrato -, balzi in piedi e ti precipiti come una scheggia impazzita a recuperare tutto il sparso qua e là:“Casualmente mi sono capitate sottomano queste riviste. Che dici, le leggiamo per farci venire qualche idea? Sono solo quindici”. seminato editoriale La famiglia è ufficialmente coinvolta. In casa non si parla d’altro, ma il peggio è che se ne parla anche fuori, con i lapsus sempre in agguato. Dal benzinaio:“Buongiorno, mi fa il ripieno per favore?”. Dal calzolaio: “Salve, dovrei rifare i tacchini”. Al mercato: “Arance? Sì, ne prendo una casseruola”. Insomma, a Natale si deve fare bella figura con un pranzo memorabile. Via libera alla forsennata ricerca di materie prime non banali. Sono messi al bando l’arrosto di manzo, l’arista di maiale o un fagiano qualsiasi.Vuoi mettere la soddisfazione di far atterrare in tavola un’aquila reale lardellata o di sorprendere i commensali con uno stufato di yak tibetano di mezza tonnellata? Partono le ricerche interplanetarie per reperire l’occorrente, e a tutti è affidata una mansione specifica. Così, mentre la bisnonna con i suoi centosei anni e altrettanti acciacchi si immerge nella preparazione dei suoi insostituibili cappelletti, il cane Bidule, abituato a fungere da bracciolo del divano per il resto dell’anno, deve sorbirsi un corso di addestramento accelerato per fiutare il . Tuber magnatum pico Tu, da valente sommelier, inizi a cimentarti con infinite prove di abbinamento. Seduto da solo a tavola, munito di fantozziana bavaglia antimacchia, vieni servito in sequenza da nonna, suocera, mamma, moglie e figlia - la bisnonna no, perché sta ancora inanellando cappelletti, casomai si aggiungesse qualche ospite - con decine di antipasti di mare e di terra, primi asciutti, brodi e vellutate, secondi così sontuosi da mettere in seria difficoltà Hannibal Lecter, per finire con dolci di ogni foggia, tanto ricchi ed elaborati da rendere minimalista il barocco più sfrontato. E i vini? L’impossibile appare sulla tavola. Silenzio, però! Via tutti dalla sala da pranzo! Vuoi restare solo, tu e le tue bottiglie, con i tuoi sensi, occhi chiusi per esaltare la concentrazione, musica classica in sottofondo, calici in parata militare, cristalli scintillanti. Mezza cantina è riaffiorata dagli abissi dormienti della tua di origine paleocristiana. Adrenalina da prestazione alle stelle, parti con le degustazioni. Un boccone, un sorso, un boccone, un sorso, senza interruzioni. Cogli le sfumature più sottili dei cibi che si posano come petali intimiditi sulle voluttuose labbra buongustaie, e subito provi a sintonizzarle sul canale radio-sensoriale dei nettari fluidi selezionati. Ti muovi sui cromatismi, ricerchi affinità e analogie. (Per inciso, confesso di aver tentato più volte di trovare uno champagne che offrisse bollicine con riflessi identici alle palline dell’albero in vetro liberty della bisnonna, purtroppo senza trovare degna sublimazione.) cave È ormai notte fonda, e hai portato a termine un’impresa che, dopo dieci Barolo con l’irsuto yak, potrebbe definirsi titannica. Il menu è stabilito, i vini magnificamente disposti al dialogo forbito con i piatti. Ti alzi da tavola esausto, ma orgoglioso. Quest’anno desideri lasciare un segno, vuoi che i commensali ebbri di prelibatezze si gettino ai tuoi piedi, esclamando all’unisono: “Tu sei il nuovo Dioniso!”. Dopo tanto penare, sarebbe una soddisfazione ben meritata, almeno per un sommelier.