Era mattina presto quel sabato a Bolgheri. Via Giulia, in genere frequentata da un gatto grigio, si popolò in modo insolito, tutti cercavano la sala in cui il comune di Castagneto Carducci aveva programmato un incontro per dibattere sulla legge delle Denominazioni di origine.
A quei tempi, ultimo quinquennio del 1980, la verve del vino stava bollendo di nuova linfa, e per l’occasione erano convenuti molti invitati. Con la consueta lentezza e i ritardi standardizzati giunse il momento dell’intervento di Luigi Veronelli, dopo quello di un rappresentante del Ministero. Nel suo discorso si disinteressò completamente di vitigni e rese per ettaro e mirò subito al bersaglio: “I politici del vino sono degli incompetenti, ne è testimonianza la Bolgheri Doc, che non prevede nel disciplinare la versione in rosso, perché gradisce - la politica - far restare i vignaioli nel limbo di un anonimato tragicomico con le attuali e banali versioni in bianco e rosato”.
Veronelli aveva un pathos particolare per Bolgheri, per quel Sassicaia (fatto da un vignaiolo) vituperato da una legge che lo deprimeva a vino da tavola, mentre Doc e Docg già in essere erano zeppe d’insulsità. E lapidario fu il suo giudizio sull’incapacità atavica di essere competenti e la volontarietà di restare ottusi.
Per la cronaca, la versione in rosso della Doc Bolgheri fu istituita nel 1994; dieci anni dopo - nel 2004 - Luigi ci ha lasciati, e ora sono dieci anni che lui non c’è più. Il plurale è doveroso perché tutti i sommelier che l’hanno incontrato non sono riusciti a cancellarlo dal cuore, se non altro per il grande onore che fece all’AIS nell’accettare la carica di direttore del “Sommelier Italiano” nel 1991; o più semplicemente perché mantenere vivo il ricordo dell’eno-filosofo per eccellenza fa bene all’intelletto.