Mozart e il vino mozartiano Fabio Rizzari Nel pluripremiato film di Allen il primo incontro tra i due protagonisti non è dei migliori. Lei lo irrita mostrandosi iper snob e andando fiera di aver istituito una “accademia dei sopravvalutati”, nella quale ha il coraggio di annoverare autori come Mahler, Jung, Van Gogh e Bergman. La replica di lui è ironica: “E allora Mozart? Non vorrai lasciare fuori Mozart”. Manhattan Difficile essere più definitivi nella risposta. Sì, perché pochissimi esseri della specie animale - ordine , sottordine , infraordine , parvordine , superfamiglia , famiglia , sottofamiglia , tribù , sottotribù , genere - rappresentano più compiutamente di Wolfgang Amadeus Mozart l’essenza stessa della genialità e della forza creativa. homo sapiens primates haplorrhini simiiformes catarrhini hominoidea hominidae homininae hominini hominina homo Riassorbito nel luogo comune più rimasticato del Genio con la g maiuscola come Michelangelo, Leonardo, Shakespeare, indagato da ogni possibile angolazione in milioni di contributi critici, Mozart è un soggetto inavvicinabile per chiunque voglia dire qualcosa di sensato e non sia un musicologo (specializzato in Mozart) o uno scrittore finissimo. Non sono né l’uno né l’altro, ovviamente, ma ho dalla mia una sana forma di incoscienza e l’impunità provvisoria che mi fornisce la bottiglia di Barbaresco Asili di Giacosa (Bruno) che mi sono appena bevuto con amici. Perciò eccoci. Il musicista Mozart è il simbolo dell’inarginabile capacità di creare opere di livello trascendentale propria di pochissimi umani: cinque o sei in venti secoli, a occhio e croce. Il musicista Mozart è dunque inavvicinabile per noi comuni mortali: provatevi un po’ a comporre, nei ritagli di tempo o nel fine settimana, qualcosa che somigli lontanamente alle , e poi ne riparliamo. Così il musicista; non così però Mozart. Che era invece, per quanto ne sappiamo, un soggetto di una normalità disarmante. Le biografie lo descrivono giocherellone (“era sempre in movimento o giocherellava con qualsiasi cosa avesse a tiro, intanto immerso nei suoi pensieri, ignaro di tutto”, scrive la cognata Sophie), “rimasto eternamente bambino in tutte le contingenze della vita”, ingenuo (“troppo candido e fiducioso, poco attivo, troppo facile da ingannare, troppo Nozze di Figaro l’uomo poco consapevole dei mezzi che possono condurre alla fortuna”, nelle parole del suo protettore parigino Grimm). E poi ironico, fissato con i giochi di parole, divertito dai doppi sensi salaci o dalle battute apertamente volgari. Anche malinconico, certo, secondo il classico cliché della controparte ombrosa che rende complesso e profondamente umano un carattere solare. A parte qualche annotazione marginale in alcune lettere del suo corposissimo epistolario, poco sappiamo del suo rapporto con il vino. “Da autentico salisburghese, sapeva bene apprezzare una buona cucina, un bicchiere di vino generoso, una forte tazza di punch”, secondo uno dei suoi più famosi biografi, Bernhard Paumgartner, che sottolinea come Mozart amasse “le compagnie allegre, anche se un po’ grossolane. Il brusio di voci gaie ed esaltate, le cordiali risate, il petulante tintinnare dei bicchieri scacciavano da lui le preoccupazioni quotidiane e, anziché frastornare, sollecitavano le energie del suo spirito”. Tralascio i riferimenti al vino nelle diverse opere mozartiane, sono famosissimi e mi pare di doverli dare per scontati. Le pochissime citazioni alcoliche delle lettere aprono qualche squarcio prospettico sul suo presumibile apprezzamento del vino. “Sappiamo che gli piacevano le buone costolette, il vino brioso e allegro della Mosella, che la gola era uno degli elementi di complicità con l’amico Schikaneder” (da ). Nel 1770 annota i dettagli di una colazione con “una tassa ciocolata e subito dopo un buon bicchiere di vino spagnolo forte”. Cultura Gastronomica Italiana Colpiscono l’immaginazione, tuttavia, i rarissimi punti che lo legano alla nostra sacra bevanda al di fuori dei testi scritti. Il più sorprendente è in un dipinto che raffigura il piccolo Wolfgang, bambino prodigio conteso tra le corti europee, mentre suona in casa del Principe di Conti. Il quadro, firmato da tale Michel Barthélemy Ollivier, è del 1766. Mozart ha dieci anni, il Principe Louis- François de Conti è proprietario del mitologico vigneto della Romanée da soli sei anni: nel 1760 è uscito infatti vittorioso dalla sanguinosa lotta per il possesso del già apprezzatissimo vigneto borgognone combattuta nientemeno che con Madame Pompadour, la favorita del Re di Francia Luigi XV. La letteratura che esalta il vino della sublime parcella di Vosne e quella, sterminata, che esalta il sublime compositore hanno molti aggettivi in comune: celestiale, trascendente, aereo, quintessenziale. Per poche ore il destino di uno sfiora quello dell’altro. E qui sta il nesso, direi robustamente analogico, tra il divino Mozart e la divina vigna della Romanée- Conti. Musicologi anche abilissimi sono disorientati dalla scarsa densità interna della partitura mozartiana: “visivamente sembra una scatola vuota” (G. Bietti), pare non addensarsi, non avere profondità. Pare galleggiare come un pulviscolo iridescente e leggero. Insomma, pare ci sia poco o nulla: e invece c’è tutto. Come scriveva un acuto critico,“Beethoven lotta contro la forza di gravità, Mozart la trascende”. Un volo librato dove il peso, la struttura sembrano smaterializzarsi. Proprio come nei migliori Romanée-Conti: chi ha la fortuna di berne ha come prima impressione un senso di leggerezza e quasi di inconsistenza, quasi che il vino sfuggisse via senza lasciare traccia. Ma dopo pochi secondi si accorge che la persistenza di un Romanée-Conti è impressionante. Anche nel vino, infatti, la qualità non è necessariamente legata alla potenza e alla massa. Non conta il peso, conta l’intensità.