Nel pluripremiato film di Allen Manhattan il primo incontro tra i due protagonisti non è dei migliori. Lei lo irrita mostrandosi iper snob e andando fiera di aver istituito una “accademia dei sopravvalutati”, nella quale ha il coraggio di annoverare autori come Mahler, Jung, Van Gogh e Bergman. La replica di lui è ironica: “E allora Mozart? Non vorrai lasciare fuori Mozart”.
Difficile essere più definitivi nella risposta. Sì, perché pochissimi esseri della specie animale homo sapiens - ordine primates, sottordine haplorrhini, infraordine simiiformes, parvordine catarrhini, superfamiglia hominoidea, famiglia hominidae, sottofamiglia homininae, tribù hominini, sottotribù hominina, genere homo - rappresentano più compiutamente di Wolfgang Amadeus Mozart l’essenza stessa della genialità e della forza creativa.
Riassorbito nel luogo comune più rimasticato del Genio con la g maiuscola come Michelangelo, Leonardo, Shakespeare, indagato da ogni possibile angolazione in milioni di contributi critici, Mozart è un soggetto inavvicinabile per chiunque voglia dire qualcosa di sensato e non sia un musicologo (specializzato in Mozart) o uno scrittore finissimo. Non sono né l’uno né l’altro, ovviamente, ma ho dalla mia una sana forma di incoscienza e l’impunità provvisoria che mi fornisce la bottiglia di Barbaresco Asili di Giacosa (Bruno) che mi sono appena bevuto con amici. Perciò eccoci. Il musicista Mozart è il simbolo dell’inarginabile capacità di creare opere di livello trascendentale propria di pochissimi umani: cinque o sei in venti secoli, a occhio e croce. Il musicista Mozart è dunque inavvicinabile per noi comuni mortali: provatevi un po’ a comporre, nei ritagli di tempo o nel fine settimana, qualcosa che somigli lontanamente alle Nozze di Figaro, e poi ne riparliamo. Così il musicista; non così però l’uomo Mozart. Che era invece, per quanto ne sappiamo, un soggetto di una normalità disarmante. Le biografie lo descrivono giocherellone (“era sempre in movimento o giocherellava con qualsiasi cosa avesse a tiro, intanto immerso nei suoi pensieri, ignaro di tutto”, scrive la cognata Sophie), “rimasto eternamente bambino in tutte le contingenze della vita”, ingenuo (“troppo candido e fiducioso, poco attivo, troppo facile da ingannare, troppo poco consapevole dei mezzi che possono condurre alla fortuna”, nelle parole del suo protettore parigino Grimm). E poi ironico, fissato con i giochi di parole, divertito dai doppi sensi salaci o dalle battute apertamente volgari. Anche malinconico, certo, secondo il classico cliché della controparte ombrosa che rende complesso e profondamente umano un carattere solare.