Ribeira Sacra Roberto Bellini A partire dal 218 a.C. i Romani iniziarono l’espansione nell’odierna Spagna e chiusero l’impresa bellica intorno al 19 a.C. Tra le zone più restie alla sottomissione ci furono quelle del nord-ovest, tra cui i territori della Ribeira Sacra: una volta conquistati, furono subito sfruttati per piantarvi vigneti, essendo stati immediatamente individuati come pendii ideali per la maturazione delle uve. La Ribeira Sacra è uno spicchio di terra in cui la storia ha lasciato appunti e spunti di memoria senza molte testimonianze archeologiche, ma ha mantenuto una verginità ambientale dall’immenso valore naturalistico. L’odierna regione è la Galizia, dal celtico , nome utilizzato anche dai Romani. In fatto di viticoltura e visibilità è stata relegata ai margini della fama enologica fino a quando non esplosero, una decina d’anni fa, l’albariño e la DO Rías Baixas, le cui sottozone migliori sono Val do Salnes, Condado de Tea e O Rosal. Fu infatti la Rías Baixas a rendersi attrice di un po’ di rinnovamento nel sonnecchiante mondo del vino bianco spagnolo, spesso rilassato in una prolungata siesta. Più del vino poté la religione per questa regione, vista la presenza di Santiago de Compostela e di tutti i che toccano e attraversano i boschi e i vigneti di questo aspro e verdissimo territorio. La Ribeira Sacra è un bulbillo di suolo incuneato tra le DO Valdeorras a est, Ribeiro a ovest e Monterrei a sud, mentre lascia in lontananza oceanica le elegie aromatiche dell’albariño. Per i francesi sarebbe un cul de sac, per noi italiani una strada senza sfondo. Gallaecia caminos Eppure questa non via di uscita non va interpretata come negatività enologica, piuttosto come cassaforte di storicità, forse di sacralità: chissà se c’è un nesso con “Sacra”? Il territorio vitivinicolo potrebbe essere definito quadri-fluviale, coniando di fatto un’intersezione acquatica innovativa, se contestualizzata nell’ambiente viti-culturale. Da nord scende il Rio Miño, da est fluisce il Rio Sil e in esso si gettano il Rio Cabe da nord e il Rio Bibei da sud. Acque purissime, rinfrescanti per l’ambiente, capaci di scavare e modellare il duro granito e la nera ardesia, tanto da creare preoccupanti e pericolose coste, chiamate : porzioni di terra poco ospitali, faticose da lavorare e avare nelle rese agronomiche, terre che affamavano i . Raccontata con questa prefazione, sembrerebbe tutto un poetico lussureggiar di vita passata e presente, invece così non fu. ribeiras campesinos Va da sé che i Romani la sfruttarono viticolturalmente per supportare la marcia delle assetate legioni verso le rive dell’oceano. I terrazzamenti furono per l’epoca un azzardo, essendo - e lo sono ancora - un intaglio scolpito e inciso nella dura stratificazione rocciosa, inabile a ospitare una coppia di potatori, figuriamoci un animale da soma utilissimo per alleviare le sofferenze degli stremati . Alcuni vigneti erano addirittura raggiungibili solo per via fluviale. peónes Alla primordiale progettualità viticola dei Romani seguirono i monaci, che tra una preghiera e un’indulgenza, un e un’estrema unzione, proseguirono l’opera di ardito terrazzamento viticolo delle sponde dei fiumi Sil, Miño e Bibei. Fu un lavoro duro e pesante, basato solo sulla forza naturale dei muscoli, un’arrampicata che stroncava le gambe, disarticolava la colonna vertebrale e alla fine di una calda giornata il volto era del colore rosso di un’aragosta bollita, mentre il cervello si lessava. Nonostante le enormi difficoltà, l’asprezza agricola del territorio fu custodita con alterne - più o meno fortunate - vicende per quasi duemila anni, poi si abbatterono due dissestanti cataclismi: la fillossera e la Guerra Civil. miserere Fu un’accoppiata distruttivamente micidiale, l’avido e malefico afide succhiò la vita dalle radici delle viti, la Guerra Civil devastò rovinosamente il territorio non solo in modo materiale, cioè economico, ma anche psicologico. Le nuove generazioni non resistettero a quegli sconquassi ed emigrarono massicciamente, i terreni rimasero incustoditi e le terrazze coltivate a vite furono abbandonate. La boscaglia circostante riprese i suoli sottratti nei millenni, i terrazzamenti furono risucchiati e stritolati dalla forza della natura e il paesaggio iniziò a traslarsi come negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti : e ben sappiamo quali nefasti effetti possa generare il cattivo governo. Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo governo Alle vicende occorse a questi vigneti non è abbinabile miglior ritornello se non quello tratto dalla canzone di Bruce Springsteen dell’album “Nebraska” (1982): “ ” E quei vigneti “morti” sono rinati! È stata una resurrezione sorprendente e inaspettata, però piena di un’energica volontà di rivincita sulle sciagure che il passato aveva riservato a quelle umili popolazioni. Un’accensione di nuove voglie agricolturali, cui i á galiziana guardarono inizialmente con pessimistico scetticismo. Eppure tutto è rinato, le terrazze su cui la vite vegetava sono state restaurate oppure ricostruite, e si è prodotto di nuovo il vino: Atlantic City Everything dies, baby, that’s a fact, but maybe everything that dies someday comes back . m s ancianos de la comarca viva el vino! Com’era facile intuire, la difficoltà non era quella di fare vino, c’era da interrogarsi su quale dovesse essere l’identità e/o la personalità della recuperata Ribeira Sacra: un crocevia enologico che strizzasse l’occhio al mondo nuovo, oppure un tuffo appassionato e melanconico nelle leggendarie avventure viticole del passato? Come in una favola che si rispetti e sia egualmente partecipe dell’emozione dell’attesa, non c’è stato tempo di vaneggiare o fantasticare a lungo: “arida terra, arido vino” è sembrato il miglior connubio per uscire dagli ammiccanti favoleggiamenti di un facile futuro. La Ribeira Sacra, si son detti, è quasi inaccessibile. È così lontana dalle luci della ribalta che anche qualche abitante della Galizia non saprebbe dare informazioni stradali per arrivarci. Pertanto, hanno dato valore all’essere ai margini della conoscibilità, individuando in ciò una dote da offrire, o forse da porre con vanto e orgoglio sul piatto delle bilance mediatiche e non solo. Per fiorettare questo individualismo pseudo eno-eremitico bisognava trovare altri atout da spendere, quindi perché non distinguersi mantenendo i vecchi vitigni locali, giocare sull’atavico connubio che quei varietal hanno con il suolo stratificato in granito e ardesia, puntare sull’unicità e sugli speciali microclimi, nonché sulle estreme escursioni termiche che scaturiscono dalla presenza delle acque e dalla ripidità delle coste, e infine da quella voglia di fare il nuovo con innovativi antichi vini? Fortunatamente è prevalsa la linea del vecchio, della tradizione, della romanità e nemmeno il popolare tempranillo è stato ammesso. C’era anche da ridefinire o recuperare l’identità del vino. Un vino questa volta da destinare a un mercato diverso da quello che caratterizzava la storia della zona,spesso usato per autoconsumo, ottenuto da una miscela di grappoli - spremuti nei in vigna e qualcuno vi faceva anche la fermentazione alcolica - con l’eccedenza venduta in carati ai bar e ai ristoranti di Lugo tramite avventuristico trasporto via fiume. In questo esuberante entusiasmo di rinascita i vignaioli hanno cominciato a guardarsi intorno, a studiare la produzione di vino nelle zone limitrofe, ad analizzare più approfonditamente i terreni e a cercare possibili analogie con altre realtà viticole. lagares L’analisi dell’ecosistema vitivinicolo ha evidenziato una possibilità di sviluppo molto condizionato dai fattori fissi, mentre relegava i fattori variabili a un raggio di intervento molto ridotto rispetto alle vicine denominazioni. Il clima è addirittura non chiaramente catalogabile, anche se prossimo alla condizione di puro continentale; c’è una parziale influenza atlantica (oceanica) e una consistente - ma non pura - condizione continentale simile alla Borgogna, mentre l’altra condizione è un mix di clima di Chablis e di Champagne. C’è però una costante climatica, perché la ventilazione fluviale non solo allevia le ustioni dei grappoli sulla pianta durante il giorno; la notte fa molto di più, li avvolge di un alone frescheggiante che preserva i profumi contenuti nella cassaforte dell’epicarpo. Da queste condizioni meso e microclimatiche e dalle ore di luminosità quotidiana, nonché da ciò che la terra può offrire all’apparato radicale, non si possono cesellare vini con picchi strutturali d’imponente muscolarità tannica e/o acida, non si possono colorare d’intenso le tinte cromatiche, non si possono creare profumi esplosivi; tutto si sposta in leggerezza di corpo, in equilibrio gustativo più espressivo in sapidità e morbidezza velour, in un kit olfattivo da decriptare nella linea del fragrante fruttato e del minerale, piuttosto che in prorompenti impatti di un solo maestoso profumo da concentrazione. Qualche winemaker dell’era Facebook si sta forse spingendo oltre nel paragone vitivinicolo, azzardando perfino affinità organolettiche vicine alla Borgogna, ma di certo poco abbinabili alla Spagna del Nord. La Ribeira Sacra, la cui traduzione s’interpreterebbe come “sacre coste”, non riflette alcuna condizione di venerazione per questi aspri vigneti, trova invece origine dal fatto che la zona era costellata di conventi, monasteri e chiese, per un totale di ben diciotto strutture, e quei religiosi tennero in vita la coltura della vite fin oltre il XII secolo. Tra le uve oggi coltivate spicca il mencía, e a seguire brancellao, mouratón, sousón, garnacha tintorera e grand noir de la calmette, per le uve rosse; quelle d’anima bianca sono godello, treixadura e albariño, la cui produzione è comunque minima. L’uva principe della Ribeira Sacra è pertanto il mencía e su questo si sta ricostruendo il futuro. La forma del grappolo è medio-piccola, con bacche alquanto compatte e di dimensione media a forma ellissoidale. Il problema di quest’uva consiste nella maturazione, anzi nella troppa maturazione, perché procura una preoccupante perdita di acidità a favore di un prosperoso seno di zucchero e all’appiattimento del profilo retrolfattivo. Quando la maturazione si sviluppa in modo equilibrato, il vino si dipinge anche di un rosso cupo, ma luminoso, con linea olfattiva in progressione prevalentemente fruttata, derivante dalla semiaromaticità del vitigno, senza perdita di freschezza e con un po’ di spalla tannica; in queste condizioni diventa un rosso con un certo potenziale di affinamento. La tradizione enologica era basata sull’uvaggio, cioè miscela di più uve, in perfetto stile Spagna del Nord; oggi le uve si fermentano separatamente e si procede poi all’assemblaggio. L’orientamento più seguito è attualmente quello di realizzare vini rossi da medio affinamento, cercando di esaltare i sentori tipici del mencía, ossia di mora, lampone, sottobosco, ardesia bagnata; c’è chi opta per l’allevamento in barrique, anche nuove, senza però sovraccaricare di tostato l’apporto terziario. Normalmente c’è bisogno di controllare la potenza del lato morbido del vino, poiché i tannini del mencía creano un buon volume strutturale, ma difettano d’intensità rugosa, lasciando spazio gustativo alle “dolcezze” del sapore fruttato e alla saporosità minerale. Un esempio significativo di questo orientamento enologico è rappresentato dal vino Ribeira Sacra Lalama dell’azienda Dominio do Bibei. L’uva mencía è usata per il 90 per cento, con un apporto di garnacha, brancellao e mouratón. In vigna si vendemmia come mille anni fa, in cassette da dieci chilogrammi; oggi però fanno il triage e i varietal sono separati. Prima di iniziare la lavorazione, le uve (anche sgranellate) sono stoccate in ambiente refrigerato tra 0 e 2 °C, segue la fermentazione in botti di legno di varie capacità e di diversi passaggi. La macerazione si protrae per due-tre settimane, la malolattica è svolta completamente, segue poi l’allevamento in botti con capacità che oscillano dai 45 hl ai 300 litri, di legno non nuovo. I travasi e le decantazioni avvengono tutte manualmente; per “rinfrescare” il vino, prima dell’imbottigliamento e della successiva sosta in vetro di circa un anno, si aggiunge un 15 per cento di prodotto dell’annata successiva. La tipicità e la particolarità del percorso in cantina non v’induca in errore, ne esce un vino da bersi nel medio periodo, perché il meglio di sé lo concede fin quando la leggera dolce speziatura non è sovrastata dall’evoluzione marmellatosa del fruttato; è un vino che ha bisogno di restare vivace in freschezza, per essere apprezzato in tutta la sua appetitosa golosità e per esaltare il finale di aroma con la sua naturale mineralità. I produttori affermano che l’uva mencía, con i suoi fidi scudieri, sia in grado di produrre vini con due distinte caratterizzazioni: oceanica e montanara. La mencía oceanica ha un profilo organolettico espresso in densità. Densità cromatica, opulenza olfattiva con maggior esoticità e sciropposità fruttata, il vegetale si trasforma in secchezza balsamica e la vaniglia fluttua sulla mineralità. Denso è il palato, con volume gustativo intessuto di alcol e tannino in fusione armonica, la succosità dei sapori fruttati sembra addolcirsi in un’estenuante resistenza aromatica di erbe di bosco seccatesi nel . La mencía montanara ha un carattere selvatico fin dal colore, ma di più all’olfatto, perché i suoi sentori fruttati sono boschivi: mora di rovo, lampone, ciliegia marasca e corniola. La sfera odorosa vegetale è da sottobosco di montagna, un po’ felce, un po’ fungo, la mineralità è più rocciosa e terrosa. Ha un tratteggio gusto-olfattivo più scorbutico in freschezza, pizzica per mineralità, il finale di gusto si riempie del sapore di rinfrescanti frullati al lampone e alla marasca, chiude con un non so che di amaricante che rimanda, dicono loro, al sapore del vino di duemila anni fa: è come bersi la storia! verano caliente I giochi ampelografici sono definiti, per cui il futuro della Ribeira Sacra è proiettato nell’esaltazione dell’uva mencía, per estrarre dalla sua bipolare identità organolettica le parti migliori e più espressive di ognuna. Non saranno prodotti di facile reperibilità, però già alcune aziende sono riuscite a ritagliarsi un posticino di rilievo nelle boutique enologiche delle nazioni con poche o inesistenti remore enoiche, quali i mercati anglosassoni e del Nord America. applicazione dei concetti del passato. Ciò che stupisce del territorio è la rigorosa interpretazione dell’essenza eno-spirituale dell’uva, la quale si combina con la sperimentale spiritualità enologica delle cantine, per un’espressione finale caricatasi di un coacervo d’innovazione su reperti eno-archeologici: questi risplendono in modo più aulico con le nuove intuizioni tecniche e viticolturali, piuttosto che non con una rigida Un esempio è già stato fatto con il Dominio do Bibei, ma ce ne sono altri molto suggestivi. S’è scomodata addirittura la Niepoort Vinhos da Vila Nova de Gaia, che è uscita con un Ribeira Sacra Ladredo, da uve garnacha tintorera e mencía, un vino corpulento, “atlantico”, carico di rimandi speziati e tostati, di ribes nero e mora di gelso, di gusto ricco e “grasso”, un po’ contaminato da spunti fusion di nuova enologia. La Bodegas y Viñedos Raúl Pérez ha coniato un vino stravolgente per la tradizione, affidandosi al solo merenzao, alias bastardo, alias mouratón, per creare il vino El Pecado dalle coste del Rio Sil, e dalle terrazze del Rio Bibei il vino Socrata; vini di grande impatto olfattivo, dal colore assatanato nel rosso granato, dal corpo infuocato da un alcol che non rende arido il palato, ma ammorbidisce l’asperità tannica e avvolge di morbidezza la sostanza strutturale. Alodio e Guímaro hanno scelto di produrre vino rosso da uva mencía con uno stile più prossimo a certi cru di Beaujolais: freschezza dilagante all’olfatto e al gusto, per una beva nel breve periodo, con piacevolezza assicurata dalla perfezione dell’esecuzione tecnica. Questa gente di campagna merita un plauso per aver impedito che le radici di una viticultura millenaria fossero per sempre sottratte alla solida linfa di un terroir più unico che eccezionale, capace, nella propria rinascita, di non essersi lasciato ammaliare dai favolistici eno-racconti di cabernet, chardonnay e affini. Un esempio: la Bodega Ramón Losada. Nei secoli i Losada hanno prodotto vino dalle uve coltivate nei propri terrazzamenti per la loro quotidianità, l’eccedenza era venduta nelle cittadine dei dintorni. Ciò non produceva profitti tali da mantenere integre le terrazze, per cui il disfacimento era progressivo e inesorabile. Negli anni critici tra il 1940 e il 1950 emigrarono in Sudamerica. Da buoni spagnoli coltivarono una sana nostalgia, tanto da tornare sui propri passi nel 1990, trovando anche poco gradevoli sorprese, come una parte dei terrazzamenti sommersi dalla costruzione di una diga idroelettrica. Ramón Losada recuperò i vecchi terrazzamenti d’origine romana, e individuò in un fazzoletto, poco meno di un ettaro e mezzo, un sito spettacolarmente ideale per l’uva mencía, in virtù dell’ardesia nel sottosuolo e degli scoscesi terrazzamenti, affacciati, come un orrido, sul fiume Sil; ne è scaturito il Viña Caneiro, un vino che fonde, inusitatamente, frutta esotica, spezie e mineralità, goloso nel sorso, sostanzioso nella succosità, vorace in freschezza per effetto delle brezze dell’acqua del Sil. È come degustare un vino senza tempo, che ha attraversato il suo stesso tempo: per la famiglia Losada il mencía Viña Caneiro è, oggi, il gusto di duemila anni di storia. È un territorio di rinascita e di riconquista viticolturale ed enologica, dove il senso del passato è permeato nelle essenze organolettiche dei vini, e il nuovo - non solo tecnica, ma anche marketing - dà una spinta di visibilità a una terra che si era ritirata in un’enclave viticola, e che adesso sta costruendo l’immagine di una Ribeira autoctona e alternativa.