La trippa, piatto povero e autentica ghiottoneria che unì l’Italia prima dell’Unità, rendendoci tutti “fratelli di frattaglia”.
il tripudio della trippa
Morello Pecchioli
All’indomani dell’Unità d’Italia Massimo d’Azeglio, lungimirante statista, fu forse l’unico a non illudersi che tutto fosse compiuto: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Sembrava un incitamento e invece era pessimismo. L’illustre marchese non credeva - e lo scrisse - che quel crogiolo di razze, dialetti, usanze, convinzioni politiche, cucito da Cavour e Garibaldi e tenuto insieme dalla catena delle Alpi e da quattro mari, avrebbe potuto essere “fatto”. Diventare un vero popolo. Perfino la cucina era diversa da regione a regione, da contrada a contrada... Tutti piatti buoni, per carità, saporiti, originali, di gusto fantastico, ma diversi. A sud le pastasciutte, a nord le zuppe. Sopra il lardo, sotto l’olio d’oliva. A Venezia risi e bisi, a Bari orecchiette con le cime di rapa. In Liguria la fugassa de Recco, in Campania a pizza ca pummarola n'coppa.
Eppure, se il marchese d’Azeglio fosse stato più attento al cibo che si consumava tra le pareti domestiche e a quello che si vendeva per strada, si sarebbe reso conto che c’era una ghiottoneria che stimolava, tutte indistintamente, le italiche papille, un cibo ghiotto che metteva d’accordo tutti i palati del Bel Paese: la trippa. La trippa è sempre stato il piatto che più di ogni altro, e non solo da centocinquant’anni a questa parte, ha affratellato gli italiani. È la saporita bandiera che sventola sulla tavola tricolore dalle Alpi a Capo Passero, dal Gargano a Capo dell’Argentiera. Totò l’aveva capito bene.
Non per niente quando si candidò a Montecitorio negli abiti di Antonio La Trippa nel film Gli onorevoli, si attaccò al megafono squarciando il silenzio del condominio: “Italiano, vota La Trippa! Vota La Trippa!”. La parodia di Totò non è solo una fantasia cinematografica. A Roma ci fu davvero chi chiese voti facendo del quinto quarto il cavallo di battaglia elettorale. Alla fine dell’Ottocento, l’oste Orazio Arzilli si candidò alle elezioni con questo programma:“Se veramente volete il vostro benessere, eleggete Orazio Arzilli. Le sue opinioni politiche sono: martedì fagioli con le cotiche, giovedì gnocchi e sabato trippa! Questi saldi convincimenti del candidato Arzilli sono sempre innaffiati da un prelibato vino di Frascati”. Ebbe solo 78 voti. Non fu eletto, ma il programma politico gli riempì l’osteria tutti i giorni.Trombato come deputato, trionfò come cuoco. La trippa supera i confini regionali, attraversa fiumi e mari, scavalca colli e monti. Gli abruzzesi della Marsica, i ladini della Val Gardena, i ciociari di Frosinone, i siciliani di Ragusa, le mogli dei camalli genovesi, i calabri di Monterosso e le Penne Nere della Carnia la preparano in vari modi, la cucinano e la mangiano di gusto. I milanesi, che la chiamano busecca, ne sono talmente ghiotti che sono chiamati “busecconi, mangiatrippa”. A Sommacampagna in provincia di Verona, dove fino a qualche anno fa si teneva il Palio della Trippa aperto a ristoranti, macellerie, osterie e ai cuochi di sagra, gli avversari più temuti erano proprio gli Alpini che vincevano il concorso un anno sì e l’altro pure.