Il vento è per sua natura una forza carica di significati e di contraddizioni. Le molteplici forme attraverso le quali si manifesta condizionano la vita e le attività dell’uomo tanto da rappresentare, nel caso del vino, un elemento determinante nella composizione del terroir.
qual buon vento
Roberto Cipresso
Facendo una sintesi delle definizioni tecniche disponibili e semplificandole al massimo, possiamo descrivere il vento come uno spostamento d’aria dovuto a un gradiente di pressione tra due aree - a sua volta ingenerato da una differenza di temperatura. Nella realtà dei fatti, lo conosciamo tutti come un fattore multiforme, che può assumere i caratteri più disparati, avere diversa natura e origine, prendere parte all’attività dell’uomo - e quindi all’equilibrio degli agroecosistemi - nelle modalità più variegate, talvolta in qualità di prezioso alleato, talaltra nella forma di un avversario da contrastare con i pochi mezzi disponibili. In senso figurato, è appunto simbolo di cambiamento, di libertà, di impeto entusiasta, della possibilità di ognuno di voltar pagina alla propria vita, e allo stesso tempo è spesso associato all’ambiguità umana, all’inaffidabilità, alla volubilità e alla capacità di alcuni individui di cambiare opinione in funzione della convenienza o degli orientamenti prevalenti nelle diverse epoche della vita.
Le contraddizioni di questo elemento erano già note agli antichi: utile alla navigazione e, per certi aspetti, all’attività agricola, manifestava a tratti una potenza distruttiva che non sapevano spiegarsi, e che dava loro una sensazione di totale impotenza: gonfiava le vele delle imbarcazioni e permetteva di andare lontano, di scoprire nuovi mondi, di insediarsi in terre più fertili, o libere da temibili nemici; al contempo, però, era capace di spazzare via quelle stesse navi, tanto da prendere nell’immaginario dell’uomo forma e sembianze di mostri orribili e sanguinari; a volte, con la sua potenza o con i suoi effetti sulla temperatura, era di ostacolo all’insediamento umano per le influenze negative sulla coltivazione della terra o sull’allevamento del bestiame. Per questo, gli antichi Greci avevano pensato di affidare i venti conosciuti, che avevano già in qualche maniera identificato e denominato, al dio Eolo, il quale ne era padre ma anche custode, e all’occorrenza sapeva riporli, controllarli e renderli inoffensivi, chiudendoli in una grotta nelle Isole Eolie.
E certo, anche noi uomini moderni, informati e consapevoli, a volte sentiremmo il bisogno di un’entità superiore in grado di metterci al riparo dalla natura, che, da amica e preziosa alleata, si trasforma, quando meno ce lo aspettiamo, in una nemica aggressiva e brutale. In generale, abbiamo testimonianze antichissime di individuazione e denominazione dei venti principali: mentre la Bibbia associa questi ultimi ai punti cardinali, gli antichi Greci avevano mantenuto le due entità come separate, e la maggior parte degli autori, letterati o filosofi che ne facciano menzione si trova d’accordo nell’individuarne 12 principali (o più raramente 8); nel mondo romano si prendono generalmente per buone le classificazioni provenienti dal mondo greco, seppur con alcune importanti varianti; tra le testimonianze più significative annoveriamo quella di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia.