l'olio da olive
fa paura

Luigi Caricato

Un’ottusa presa di posizione reputa l’olio extra vergine di oliva l’unico condimento valido e demonizza tutti gli altri grassi alimentari, olio da olive compreso. Le alternative all’extra vergine sono invece da promuovere e valorizzare.

Può suonare strano il titolo, ma è così. Nonostante l’Italia sia un Paese con almeno due millenni di storia olivicola alle spalle, c’è un approccio all’olio timoroso, se non a volte ostile. Nonostante tutto. Nonostante tanta storia e prestigio. Oggi che si è scoperto l’olio extra vergine di oliva in tutto il Paese, anche in regioni deputate un tempo al burro o ad altri grassi alimentari, si è diventati ben presto intolleranti verso ciò che non è extra vergine. Non solo: l’intolleranza si è tramutata in aperta ostilità perfino verso gli extra vergini ordinari, quelli che non presentano grandi pregi, come se l’unico obiettivo possibile sia l’eccellenza assoluta.

È il classico atteggiamento dei parvenu, di quanti scoprono qualcosa che prima ignoravano, o che sottovalutavano nel loro valore intrinseco, e una volta individuato tale valore diventano irrazionalmente intransigenti, radicalmente contrari a ciò che non sia olio extra vergine di oliva di alta qualità. È così che tali parvenu dell’extra vergine di eccellenza con modi arroganti finiscono con lo screditare tutto ciò che non sia in linea con la loro concezione (fideistica) di olio, ritenendo a torto inadatti per una corretta alimentazione il resto dei grassi, condannandone pertanto l’impiego.

Si tratta di un comportamento infantile, immaturo e perfino stupido, direi: anzi, potentemente stupido. Paradossalmente, rispetto al passato, oggi siamo molto più impreparati, pur disponendo di maggiori informazioni. Un tempo non si facevano tante storie, c’era un atteggiamento più sereno e pacifico, ora, al contrario, dopo che alcuni hanno acquisito l’abc dell’olio extra vergine di oliva, dimostrano una fragilità culturale senza precedenti, manifestando un atteggiamento di profonda ostilità e intolleranza verso tutti i grassi che non siano olio extra vergine di oliva.

È un fenomeno completamente nuovo, si apre per molti versi uno scenario inedito. La battaglia ideologica riguarda non solo il resto dei grassi alimentari, quelli diversi dall’oliva come materia prima, ma perfino gli stessi oli ricavati dalle olive. Faccio un esempio, per far comprendere lo stato della realtà. Al momento sono riconosciute, sul piano commerciale, quattro distinte categorie merceologiche di riferimento, disposte in una sorta di piramide della qualità: alla base si parte con l’olio di sansa di oliva (ottenuto dall’olio estratto dal residuo solido della lavorazione delle olive – la sansa, appunto, che altro non è che parti di buccia e nocciolo); quindi, a seguire, l’olio di oliva propriamente detto (ricavato dalla miscela di oli di oliva raffinati mescolati con parti di olio vergine o extra vergine); l’olio di oliva vergine (meno pregiato dell’extra vergine, ma ugualmente valido sul piano nutrizionale); e infine, al vertice della qualità, vi è l’olio extra vergine di oliva.