il vino cambia
(con la) musica

Fabio Rizzari

Con l’eccezione di molti assessori ai trasporti e di alcuni vigili urbani, l’uomo è un animale sensibile. Polisensoriale, amano dire oggi i pubblicitari e gli esperti di comunicazione. Ciò significa che una persona normalmente dotata è in grado di percepire sensazioni da diverse fonti contemporaneamente: si può guardare la televisione e ascoltare le lamentele della moglie in sottofondo; bere un cappuccino al bar e leggere il giornale del vicino (una volta, magari... oggi si legge semmai il suo tablet), annusare i profumi di un piatto di lasagne appena sfornato e sentire gli squilli del cellulare.

Questa peculiare attitudine ha stimolato negli ultimi decenni un’ampia letteratura sul legame sensoriale tra vino e musica. Con annesse proposte di veri e propri abbinamenti tra un vino specifico e una specifica composizione musicale. Confesso di aver contribuito tra i primi – in ordine temporale – a tale fioritura scrittoria. Come ho già ricordato in tutte le sedi possibili, una ventina d’anni fa San Luigi Veronelli mi offrì una rubrica di accostamenti eno-musicali nella sua rivista “Ex Vinis”, e io onorai l’impegno in ben due articoli diversi sul soggetto. Le mie proposte dell’epoca non poggiavano su alcuno studio approfondito e lavoravano per analogie ruspanti, senza troppi fronzoli: un vino potente e una musica potente, monumentale; un vino delicato e una composizione sottile, sfumata, quasi sfuggente. Mai avrei immaginato che, con il tempo e l’ineludibile progresso delle sorti umane, da un simile guazzabuglio di opinioni non dimostrabili si potesse arrivare a una vera e propria conferma scientifica.