la custodia
come missione

Armando Castagno

“Tal che si mise a circuir la vigna / che tosto imbianca se ’l vignaio è reo”: quando Dante scrive questi versi (Paradiso, XII 86-7), preoccupandosi della salute della vite che il vignaiolo deve circondare di cure, a Coltibuono si faceva vino da due secoli e mezzo almeno. Dante si riferisce alla vigna del Signore, cioè la Chiesa; ma anche le antichissime vigne dell’abbazia di Coltibuono, fondata dai Firidolfi o più probabilmente dai Ranieri nel 1049 e già nel 1051 condotta dai monaci benedettini vallombrosani, avevano un forte valore metaforico: luogo di elevazione, di lavoro, piccolo angolo di paradiso ritrovato (e infatti “paradiso” deriva dal persiano pàiri daēza, “giardino recintato”). Esattamente in parallelo a quanto sarebbe avvenuto in Borgogna nel 1098, quando Roberto di Molesme e ventuno suoi confratelli fondarono l’abbazia di Cîteaux e l’ordine cistercense in reazione all’ormai ostentata inosservanza della Regola da parte della “casa madre” di Cluny, così a Coltibuono approdò Giovanni Gualberto, in seguito Santo, intenzionato a fondare una congregazione di monaci che seguissero con rigore i princìpi benedettini. Anche il monaco francese e i suoi adepti misero presto insieme, grazie ai legati testamentari di possidenti, nobili e funzionari di zona, una cospicua estensione di terra, in seguito trasformatasi, per buona parte, nel più celebrato vigneto del mondo, quello che si stende lungo la Côte d’Or, con i suoi antichi Clos, le sue parcelle ammantate di mito, la sua ponderosa letteratura.