Dal rigido pesce bastone vichingo al morbido baccalà mantecato, il merluzzo nordico raggiunge tutte le tavole italiane. Per molti ghiottoni planetari, riuniti in confraternite, vale più della scoperta dell’America.
chi batte il baccalà
Morello Pecchioli
Quando si parla di baccalà il popolo veneto, tollerante per civiltà e pacifista di natura (“Mi no vado a combàtar”), diventa bellicoso, furente e, contraddicendo la propria indole civile e sottomessa prima alla mamma poi alla morosa e infine alla moglie, si trasforma in feroce antifemminista: “El bacalà”, recita il proverbio, “l’è come la dona, più la se bate e più diventa bona”.
A Vicenza, a Verona, Venezia e in tutto il resto della serenissima regione, il baccalà non è un cibo, è un’aristotelica categoria dell’essere: la sostanza, la qualità, il dove, il quando. Storia e geografia. Scienza e arte della tavola. Non è una pietanza, è un mito. Non interessa soltanto il palato e la gola, ma anche l’intelletto e l’intuizione. Il baccalà è filosofia servita nel piatto.
Il modenese Paolo Monelli, ghiottone errante tra l’Adige e il Piave, racconta la trasformazione del “triste pesce boreale che si nutre di ghiaccio” da pesce bastone, il duro e rigido stockfish scandinavo, a cibo tenero “degno di dare scaccomatto a tutte le pietanze”, parlando addirittura di “trasfigurazione”. Giuseppe Maffioli, compianto sacerdote della cucina veneta, disquisisce a lungo sulla “metamorfosi” del baccalà, dedicandogli la stessa religiosa attenzione che Ovidio rivolse a Dafne e a Narciso: “Giunto da noi stopposo e legnoso diventa uno dei piatti più succulenti”.
Al cospetto del baccalà anche il vocabolario ittico subisce una mutazione. Si preferisce usare una metonimia: il prodotto finito invece della materia prima. Una volta uscito dalle glaciali acque del Mar di Norvegia e importato in Italia in barili sotto sale, ci si dimentica che è un merluzzo perché prende il nome dal piatto: baccalà, appunto. E così fanno in Portogallo: bacalhau. E in Spagna: bacalao. I veneti, bizzarri la loro parte, confondono ancor più le acque: quello che vicentini, trevigiani e compagnia bella chiamano “baccalà” è in realtà lo stoccafisso.