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Il sesto volume della rivista "Vitae", pubblicato a giugno 2015 dall'Associazione Italiana Sommelier, offre un viaggio enogastronomico coinvolgente. Con articoli che spaziano da Champagne e legno a Oro da ape nera, vengono esplorati territori vinicoli unici e prelibatezze gastronomiche. Approfondimenti sul rapporto tra vino e musica e sui segreti dell'olio da olive arricchiscono questa pubblicazione curata e innovativa, che celebra la cultura enogastronomica con stile e passione

Editoriale di Antonello Maietta

Accadde a Milano di Antonello Maietta

La custodia come missione di Armando Castagno

Champagne e legno di Roberto Bellini

Chi batte il baccalà di Morello Pecchioli

La fonte della vita di Roberto Cipresso

Mamma AIS di Daniele Cernilli

Unconventional Château di Roy Zerbini

Vite maritata M. Giuffrida e A. Luchitta

Mai devoto al voto di Valerio M. Visintin

Raboso Razza Piave di Pia Martino

Oro da ape nera di Piero Pardini

L’olio da olive fa paura di Luigi Caricato

Note di degustazione - Il vino cambia (con la) musica di Fabio Rizzari

On Wine - Social sheep di Andrea Petrini

Pas dosé - Boxeur des boulles di AIS Staff Writer

Autori

Fotografia & Co.

la fonte della vita Roberto Cipresso Semplice nella struttura chimica, complessa nella rappresentazione simbolica di forza generatrice, l’acqua riveste un ruolo imprescindibile nella trasmissione identitaria del terroir nell’uva, e dunque nel vino. Dare una definizione dell’acqua può sembrare molto semplice, così come appare immediata la sua importanza ai fini dell’attività agricola. È forse la prima formula chimica che si impara fin da bambini. Anche il parallelismo tra acqua e vita è noto: l’assoluta necessità per gli esseri viventi per svolgere le proprie funzioni vitali, la connessione con la nascita stessa della vita sul nostro pianeta, il ruolo basilare ai fini della proliferazione e dello sviluppo dei popoli. Tutti sanno che le prime grandi civiltà, sia di area mediterranea (come Sumeri e Babilonesi, Egizi, o la stessa Roma), sia orientali (la sopravvivenza delle quali è ancora indissolubilmente connessa all’acqua), hanno avuto origine e si sono sviluppate in prossimità di mari, fiumi o laghi, fondamentali per lo svolgimento delle attività primarie degli esseri umani, per le colture, per gli animali allevati, nonché per gli scambi commerciali e culturali tra popoli diversi.  Il ruolo di primo piano che l’acqua ha rivestito e continua a esercitare per molte di queste civiltà si palesa e trova conferma nel fatto che spesso essa diviene elemento centrale dei rispettivi simboli religiosi e culturali, quale forza generatrice di vita – Afrodite che sorge dalle acque – o quale elemento di lavaggio e purificazione – i bagni fluviali dell’Induismo, il Battesimo cristiano, o anche le abluzioni del mondo islamico. La struttura chimica dell’acqua – due atomi di idrogeno uniti all’atomo di ossigeno con legame covalente – la rende un ottimo solvente, tanto che comunemente, parlando di acqua, non facciamo riferimento al composto puro, bensì alla miscela con diverse sostanze disciolte all’interno. In quanto tale, l’acqua coincide con la vita in molte forme, poiché prende parte a tutto ciò che di essa è liquido: succo che compone la polpa dei frutti, sangue, linfa vegetale, liquido amniotico, latte materno. Entrando nello specifico dell’acqua come componente di terroir di produzione di uva e vino, il suo valore appare chiaro se si considera che uva e vino sono costituiti proprio da acqua per una percentuale molto alta della loro composizione totale. Essa partecipa all’identità del vino in varie forme; a me piace definirla e pensarla essenzialmente come una sorta di “solvente del terroir”. Lo è anzitutto come primo costituente della “soluzione circolante” che la vite assorbe dalle radici. Quest’acqua giunge in parte per capillarità dalle falde acquifere profonde, ed è quindi in qualche misura portavoce degli elementi che costituiscono il sottosuolo, ovvero della matrice più antica del terreno, degli strati più lontani dalla superficie, della sua stessa origine; arriva poi in altra gran parte dall’acqua piovana che tocca il suolo e, dopo una fase di scorrimento sulla superficie, penetra all’interno e viene più o meno intensamente trattenuta. Anche questo elemento è un tramite attraverso il quale il terroir può manifestare nell’uva e nel vino la propria identità; la composizione di questa porzione della soluzione circolante dipende infatti dalla fertilità del suolo su cui l’acqua scorre e dalla natura degli elementi che tale fertilità compongono, ma anche dalla capacità del terreno di trattenere l’acqua piovana, ovvero di assorbirla senza perderla per lisciviazione, di mantenerla nella rizosfera e non farla scivolare in profondità, di cederla progressivamente alle radici in funzione delle loro necessità. A determinare questi meccanismi, e quindi a stabilire la natura della soluzione circolante, la sua disponibilità complessiva e i tempi nei quali essa può effettivamente essere utilizzata dalle viti, è il suolo nel suo insieme. In primo luogo, la giacitura e la conformazione superficiale - certe lavorazioni intervengono a ridurre o incrementare le perdite di acqua per lisciviazione, o quelle per evapotraspirazione; ad esempio, dove c’è pendenza si può decidere di utilizzare attrezzi che creino zollosità multiforme anziché solchi ben definiti, per ostacolare lo scorrimento idrico in rivoli veri e propri; oppure si lavora il terreno in superficie più volte, nel corso di stagioni estive siccitose, per ridurre le perdite idriche legate all’evaporazione.  In secondo luogo, la sua reazione, la tessitura e la struttura - la presenza e la percentuale relativa delle particelle colloidali determinano la capacità di ritenzione idrica del suolo, mentre l’aspetto strutturale influisce sulle macro e micro porosità, ossia sulla circolazione interna di acqua e di aria; in altre parole, la qualità e la disponibilità della soluzione circolante forniscono informazioni fondamentali relative alle proprietà fisiche e chimiche del suolo, alla sua origine, conformazione e alla gestione da parte dell’uomo. In questi termini, dunque, l’acqua va intesa come “solvente di un terroir”.  A differenza di molti colleghi, non credo che l’espressione del terroir nell’uva e nel vino sia connessa alla sofferenza da stress idrico; al contrario, sono fermamente convinto che le complesse dinamiche di interazione tra clima e suolo con l’acqua possano essere interpretate degnamente solo da viti sane e in perfetto equilibrio; una pianta in sofferenza da carenza idrica può esprimere al massimo i requisiti di una particolare annata climatica, o manifestare questa condizione di disagio. Viceversa, credo sussistano fasi fenologiche ben precise nelle quali la pianta non debba fare a meno della dose di acqua necessaria, come quella di emissione dei germogli, quella di pieno rigoglio vegetativo - nella quale l’attività fotosintetica si svolge a pieno ritmo e in cui possiamo intervenire con pratiche “a verde” proprio per indirizzare le risorse così sintetizzate verso lo sviluppo e l’accrescimento dei nuovi frutti -, e ancora gli stadi che, dalla fioritura, conducono fino all’iniziale formazione del frutto. La pianta, infatti, una volta formati i propri semi, non deve mai trovarsi costretta a sacrificare lo sviluppo degli acini - e quindi l’equilibrio tra le loro costituenti così importante ai fini della futura qualità del vino - per salvaguardare l’accumulo di riserve per la sopravvivenza negli anni successivi; a questo scopo, per mantenere viva e attiva il più a lungo possibile l’attività fotosintetica e garantire una buona ripresa vegetativa nel ciclo che verrà, è auspicabile che l’acqua non venga a mancare neppure subito dopo la vendemmia. Può essere considerata uno strumento di primo piano attraverso il quale un terroir si manifesta nel frutto, anche in virtù del ruolo di protagonista che svolge, insieme alla temperatura, nella composizione di climi e microclimi dei diversi territori di produzione; e ciò, nelle vesti multiformi che assume attraverso i cambiamenti di stato: dai ristagni di umidità, che favoriscono gli attacchi fungini e i danni da gelate nei vigneti di fondovalle, passando attraverso l’effetto di incapsulamento delle temperature sui tessuti delle piante dovuto all’“effetto coperta” dei manti nevosi, fino a giungere alle ferite, nei casi più gravi anche di forte ostacolo per la regolare ripresa dei processi fisiologici della pianta colpita, inferte dalla grandine. Inoltre, la frequenza, la distribuzione e l’entità dell’acqua che cade in forma di precipitazioni piovose, come prima accennato, influiscono significativamente sulle disponibilità idriche del suolo; in alcuni casi limite, le piogge abbondanti migliorano la salubrità di un terroir rendendo il terreno più ospitale per le piante, ad esempio attraverso una sorta di azione di diluizione e di lavaggio in caso di appezzamenti con salinità eccessive. Un elemento molto affascinante, spesso non considerato, è l’influenza dell’acqua sulla qualità della luce: come ho sovente notato nei vigneti delle zone costiere o delle isole, l’acqua del mare riflette la radiazione solare, e ne aumenta la disponibilità per le viti e per l’uva; in altri casi invece, in forma di elevata umidità relativa dell’aria, funge da filtro e attenua l’intensità luminosa. L’unica fase, invece, in cui auspichiamo di non avere precipitazioni piovose in eccesso è il periodo terminale della maturazione, così da evitare una troppo consistente diluizione dei mosti, la perdita di tono e di fragranza, ma anche il rischio di insorgenza di botrite e di marciumi connesso all’elevata umidità atmosferica in prossimità della vendemmia. Credo fermamente che il rapporto tra ciclo vitale della pianta, produzione del frutto, vinificazione e acqua debba essere di pieno equilibrio, perché identifico la buona qualità e lo stato di salute con la condizione di turgore, tonicità e dinamismo che associo all’acqua e alle diverse sue forme che nel mondo vegetale la vedono protagonista - soluzione circolante, linfa vegetale, succo dei frutti, mosto, vino. Ho sempre parlato dell’acqua in qualità di solvente, perché in realtà essa è proprio una sorta di vettore di elementi indispensabili alla vita e alla coltivazione, e di catalizzatore delle differenti combinazioni, che permettono di cambiare sempre abbinamenti, forme e di trasformarsi continuamente in qualcos’altro. Il concetto appare nella sua evidenza proprio nel prodotto ultimo di questi processi di trasformazione: il vino. Esso è materia viva, e le sostanze che assieme all’acqua lo compongono non sono statiche, ma sono protagoniste di un percorso ben definito, che l’acqua rende possibile; danno origine a legami diversi, a precipitazioni, a mutamenti di forma, sapore e colore. Ogni vino, alla fine del suo percorso, muore, e solo l’acqua rimane: torna a essere quello che è stata in origine e che, a partire dal suolo, ha dato il via a tutto, quale testimone ultimo di un ambiente di coltivazione, di un determinato approccio dell’uomo, e del percorso subito da una soluzione viva e pulsante.

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