C’era una volta una vite che si arrampicava sugli alberi... Non è l’incipit di una favola, ma la descrizione di un tipo di allevamento della vite, quello della “piantata padana”, che affonda le radici in un lontano passato. Una delle più belle pagine della letteratura italiana è dedicata proprio a un arrampicatore di alberi, quel Barone di Calvino che, per protesta, aveva deciso di passare il resto della vita sugli alberi. Se la scelta di Cosimo Piovasco di Rondò fu di non metter più piede sulla terra, ben altra sorte è toccata alla vite che, dopo lunghi anni di matrimonio con gli alberi, a terra, invece, si è radicata con successo.
In tempi di recupero dei vecchi vitigni e di antichi vini, uno sguardo su un sistema d’allevamento che ha segnato la produzione vinicola della pianura padana per oltre mille anni può essere un tassello significativo per la cultura del vino in Italia.
Le origini della cosiddetta “vite maritata” risalgono a tempi molto antichi. La vitis vinifera è indigena in area mediterranea ed è normale la sua propensione ad arrampicarsi sugli alberi, a “maritarsi”, appunto, all’olmo o al pioppo. Pare che le popolazioni italiche preromane abbiano adottato questo sistema direttamente dalla semplice osservazione della natura circostante. Gli etruschi e i romani consolidarono il sistema; i romani, in particolare, lo definirono arbustum gallicum, perché ampiamente presente nella Gallia Cisalpina, l’attuale pianura padana. Erodiano nelle Historiae ricorda che, nella campagna di Aquileia “disposti sono gli alberi a eguale distanza, e accoppiate sono le viti, formando un quadro giulivo, tanto da sembrare quelle terre adorne di corone frondeggianti”.