Sono tante le possibili sfumature dell’olio, dal giallo paglierino al verde smeraldo. Tanta bellezza è stata tuttavia censurata da almeno trent’anni, dichiarando guerra al senso della vista. È un grave errore: occorre rivalutare un elemento così seducente.
il colore
dell'olio
Luigi Caricato
Perché avere paura di scoprire e valorizzare il colore dell’olio? Quando lo versiamo su qualsiasi pietanza, ne avvertiamo sin da subito tutto il fascino. Nonostante ciò, si ritiene – purtroppo – che la sola vista del colore possa in qualche modo condizionare il giudizio dell’assaggiatore. È legittimo chiedersi perché osservare il colore possa far deviare il nostro oggettivo giudizio sulla bontà dell’olio. È veramente possibile che il colore ci condizioni? Chi non è del mestiere non lo sa, ma quanti hanno seguito anche solo un corso introduttivo all’assaggio, hanno appreso il divieto e accettano tale imposizione, ritenendola giusta, senza neppure interrogarsi. Così, chi effettua l’assaggio secondo i canoni ufficiali, quelli stabiliti da un apposito regolamento dell’Unione europea, lo sa bene, e non ci sono scusanti. Le disposizioni europee in materia riprendono quanto precedentemente disposto dal Consiglio oleicolo internazionale. Si impone pertanto di non poter valutare un olio osservandone il colore. La vista è un senso bandito, sul quale non si può fare affidamento poiché è ingannevole. Tale imposizione è una legge comunitaria inserita nello storico Regolamento Ce 2568/91, un caposaldo per l’assaggio dell’olio con il celebre Allegato XII. Insomma, tutto è normato. In base a tali disposizioni, occorre rifuggire il senso della vista e di conseguenza il colore e la limpidezza o velatura dell’olio. Guardare è proibito, perché il senso della vista è considerato elemento sviante. Tant’è che il bicchiere dell’assaggio, quello ufficiale, dalla forma di tulipano senza gambo, è generalmente di colore blu, o comunque ambrato, allo scopo di preservare il giudizio dell’assaggiatore. Sì, perché quando i pionieri dell’analisi sensoriale applicata all’olio scrissero i punti cardine dell’assaggio, negarono senza alcuna esitazione la piena dignità dell’organo della vista. Il vero organo di valutazione – secondo chi ha dettato le regole dell’assaggio – è l’olfatto e, solo a seguire, il gusto, con le percezioni tattili e chinestetiche al palato.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: è stata la giusta soluzione o si è trattato di un evidente errore da parte di chi ha elaborato le regole dell’assaggio? È una domanda dall’intento provocatorio, ma apre a una possibile rilettura di quanto finora dato per acquisito in materia di valutazione organolettica degli oli extra vergini di oliva. Perché snobbare il senso della vista? Il mio pensiero al riguardo è molto chiaro. Si valuta con tutti gli organi di senso, nessuno escluso. Soprattutto quando si tratta di scegliere un olio, indipendentemente dal giudizio di un valutatore.