la nuova luce
del Faro

Giorgio Fogliani

Dai fasti di una viticoltura millenaria alla quasi estinzione sul finire degli anni Ottanta: oggi le sorti del vino di Messina sono affidate alle rassicuranti premure di alcune giovani realtà molto promettenti.

Una città, un vino Messina è una città-porto e una città-ponte. Nell’immaginario collettivo è rimasta indissolubilmente legata al ruolo di traghettatrice dall’Italia peninsulare alla Sicilia e dalla Sicilia all’Italia. Porta d’ingresso e porta d’uscita, sono in pochi a fermarvisi, tutti la attraversano, e i siciliani stessi sembrano non considerarla troppo, salvo temerne il traffico, il forte vento e le interminabili attese agli imbarchi. A poco vale la lunga e a tratti gloriosa storia della città, che le catastrofi naturali, ultimo il terremoto del 1908, hanno stroncato senza pietà.

E siccome le cose del vino sembrano, a volte, echeggiare beffardamente le cose degli uomini, anche il vino di Messina, il Faro, può vantare storia e nomea antiche, eppure anch’esso ha conosciuto l’oblio; un oblio che oggi, tuttavia, sembra lasciare il posto a una nuova stagione, più felice. Ma andiamo con ordine.

La viticoltura messinese, di origini micenee, negli ultimi secoli aveva sviluppato una forte tradizione legata, oltre che al consumo locale, soprattutto all’esportazione dello sfuso. In modo non dissimile da quanto succedeva poco lontano, alle pendici dell’Etna, anche a Messina il vino non si imbottigliava, ma dal porto della città partiva diretto al nord Italia e all’Europa, dove era destinato prevalentemente al taglio. Il “vino di Faro” – molti documenti lo attestano – godeva di un’ottima reputazione tanto nell’isola quanto fuori, e l’istituzione della Doc, nel 1976, è non per caso una delle prime in Sicilia: si tratta di una denominazione dedicata a una sola tipologia di vino, rosso, a base nerello mascalese (45-60%), completato da nerello cappuccio (15-30%) e nocera (5-10%) cui possono essere aggiunte, eventualmente, altre uve locali. Il Faro, che prende il nome dalla frazione di Faro Superiore, può essere prodotto nelle zone vocate di tutto il comune di Messina, come a stabilire già a priori un fortissimo legame tra il vino e la città. Così, quando negli anni Settanta questa cadde preda di un’espansione edilizia sovradimensionata e sempre più terreni furono strappati all’agricoltura in nome di una cementificazione dissennata, a farne le spese fu proprio il vino, che alla fine degli anni Ottanta rischiava seriamente l’estinzione. A risollevarne le sorti, e questa è storia nota, fu l’azienda Palari di Salvatore Geraci, nata da un’idea di Veronelli, che portò il Faro nell’élite dei vini italiani, inanellando premi e mettendo d’accordo pubblico e critica.