EXPO food circus Valerio M. Visintin Che cos’è l’Expo? La mattina del primo maggio, mi sono presentato all’ingresso con questa domanda in tasca. Sotto un cielo di nuvole umide e spesse, dal vastissimo catino del teatro all’aperto rimbalzava l’eco della cerimonia inaugurale. Celebrità nostrane, funzionari governativi di mezzo mondo, giornalisti e visitatori della prim’ora indossavano un identico sguardo incerto ed emotivo, come quei cani al guinzaglio che vedono il padrone in lontananza. I colleghi, in attesa ai tornelli, sguainavano smartphone, tablet e sospiri impazienti. I più disinvolti squittivano, come in gita scolastica, mostrandosi l’un l’altro le foto dei pass; ambitissimi feticci, che a novembre penderanno con artata nonchalance da qualche gomito di mobile in salotto. Cinguettii da cosmonauta di una cronista bionda appollaiata su quei tacchi che a tarda sera avrà stramaledetto: “Ciao, cara, dove sei? In Ecuador? Io sto per entrare. Ci vediamo in Olanda tra dieci minuti”. Che cos’è l’Expo? Al termine di quella prima giornata contusa, ho segnato sul taccuino una sintesi rabbiosa: “Vesciche, pioggia, stanchezza negli occhi e nelle gambe”. Ma ancora oggi, dopo settimane di maratone su quel tavoliere di cemento, non ho trovato una risposta. Tutt’al più, potrei dire di aver raccolto un quadro scomposto di indizi. 1 - IL BOCCONE PEGGIORE Abalone! Chi è costui? È certamente, al netto delle stravaganze più estreme, il boccone peggiore che abbia mangiato in Expo. Sarebbe un mollusco marino. Ma, nella versione proposta dal padiglione cileno, sembra una suola aromatizzata al petto di pollo. 2 - LA CULTURA Più che il pianeta, l’Expo nutre una natura circense che prevale su tutti gli altri aspetti. Non dico che non scintilli qualche barlume di cultura tra cardo e decumano. Ma non c’è spazio d’ascolto per temi pensanti. E il pubblico stesso non è predisposto a percepirli. È come disquisire di Proust in curva nord. 3 - DECUMANO È quell’incubo infinito che taglia il mondo in due come Spaccanapoli o, meglio, come viale Ceccarini a Riccione. L’ho percorso mille volte avanti e indietro. Nelle notti più buie, sogno di attraversarlo forsennatamente in triciclo, come il bambino di Shining. 4 - IL CALDO Forse credevano che la Lombardia fosse una regione del Grande Nord. Errori che capitano. Si sono dimenticati di stendere ombre, di piantare alberi, di creare oasi contro il deserto dell’estate più torrida di sempre. Per scampare all’eritema, si cercava rifugio sotto la cappa bollente del Decumano: dalla padella alla padella. 5 - FOODY È la mostruosa mascotte arcimboldiana. Scortata in quotidiane sfilate orrorifiche da una tremenda pupazzopoli. Cito testualmente stralci dell’anagrafe ufficiale: “Piera, fiera del fisico a pera”, “Arabella, la dolce acidella”, “Rodolfo, il vero fico”, “Max Mais, il musicista pop-corn”. Mi perdonerete se eviterò commenti. 6 - GASTRONOMIA Ne esce sconfitta e umiliata. Qui, trionfa il food, con tutte le sue contraddizioni, la sua deriva cialtrona e volgare, il suo carico di consumismo spicciolo. Persino i templari dell’alta cucina – ingaggiati dal Mangiafuoco Paolo Marchi, per far brillare i fornelli di Identità Expo – non hanno inciso nella trama generale dell’Esposizione. E nemmeno SlowFood, asserragliata in un padiglione che sembra Fort Alamo, ha avuto la forza di imprimere una svolta qualitativa. Ed è rimasta in disparte, come un convitato di pietra. 7 - CRONISTA GASTRONOMICO Ho assaggiato di tutto, per dovere professionale. Mi sono capitati bocconi dignitosi, insignificanti, tremendi. Ma nulla di memorabile, poiché (fatta salva qualche eccezione) questa è la fiera della provvisorietà, del posticcio. I ristoranti non sono ristoranti. Ma cucine da campo lasciate nelle mani di un popolo d’avventizi. 8 - EXPO E MILANO Entità che non hanno interagito. Un amore mai sbocciato, frutto di un miraggio. Si pensava che la città avrebbe goduto del riflesso dell’Esposizione; che sarebbe stata invasa dai turisti; che avrebbe rilanciato il boccheggiante commercio milanese. Un cumulo di aspettative che ha generato infornate di nuove insegne, scardinando gli equilibri, polarizzando l’offerta in alcuni quartieri cittadini, abbassando l’area anagrafica dei fruitori, mettendo in fuorigioco il ceto medio della nostra ristorazione. Ora sappiamo che l’Expo non è a Milano, come abbiamo creduto. E non è neanche a Rho. Ma risiede in se stessa, senza commistioni. Facile prevedere che nei prossimi mesi, in città, cominceremo a contare i caduti di una battaglia che molti hanno perduto ancora prima di cominciare. 9 - DIVERTIMENTO Ma sarei disonesto se negassi che questa Disneyland dei popoli uniti, questo pianeta in bottiglia è un luogo divertente, imbottito di attrazioni, talmente avulso dalla realtà da riportare persino i cinici cronisti come me a una dimensione ludica e medicale. Però, è una medicina alternativa: va assunta in dosi omeopatiche. 10 - CASA DOLCE CASA Naufragare finalmente a casa, masticato vivo da una giornata in Expo, è un sollievo senza paragoni. Mi ricorda la barzelletta di quel tale che calza scarpe di due numeri più piccole: “Perché lo faccio? Vivo una vita d’inferno, ma sai che goduria quando mi tolgo le scarpe?”.