sulla via
delle spezie

Francesca Zaccarelli

Straordinarie nel rendere unici i sapori, fondamentali nella medicina antica. Oggi spezie di ogni tipo sono parte integrante della gastronomia globale, andando a modificare memorie, arricchendo cucine regionali, reinventano il modo di concepire i piatti. E, se per la loro singolarità, il connubio cibo-vino era stato sempre pensato come impossibile, proprio l’incontro fra tradizioni e conoscenze culinarie diverse ha sfidato una delle più ostiche aporie nell’arte dell’abbinamento enogastronomico.

“Preparare un soffritto con olio, aglio, sedano, carote e cipolle, farvi rosolare a fuoco vivo la carne tagliata a dadoni e precedentemente maneggiata con gli aromi, il ginepro e il pepe” (P. Artusi). Rileggere le ricette della tradizione e del passato rappresenta un’esperienza didattica rivelatrice. In ognuna di queste, troverete sempre la presenza di spezie o droghe speciali, ovvero ingredienti aromatici generalmente essiccati (“droghe” deriva dall’olandese droog, “secco”) ricavati da semi, radici, cortecce, germogli, bacche, fiori e frutti. L’abitudine di cucinare le pietanze con odori diversi è ben radicata nella storia del mondo: un recente studio dell’Università di York ha rivelato che già nel 6.000 a.C. i popoli del Neolitico facevano un quotidiano e diffuso uso di erbe e aromi per insaporire i cibi. Come testimonia l’etimologia stessa del nome – dal latino species, “merce speciale, di pregio” – le spezie vantano da sempre un’importanza fondamentale per l’uomo. Il motivo della loro popolarità non era solo legato all’esigenza di migliorare il gusto dei cibi: le droghe speciali possedevano infatti caratteristiche utilissime per la cura del corpo e dell’anima, quali proprietà antibatteriche (aglio, timo, cannella), antiossidanti (curcuma, peperoncino), digestive (zenzero), antinfiammatorie (alloro, chiodi di garofano), afrodisiache (vaniglia, zafferano).