Sul mondo dell’olio aleggia una negatività cronicizzata. Eccessivi tecnicismi, guerre ideologiche e cattiva comunicazione sottraggono vitalità ed entusiasmo. Siano benvenuti i nuovi comunicatori dell’olio targati AIS.
il duende
nell'olio
Luigi Caricato
Il mondo dell’olio italiano è triste e non sa coltivare la bellezza. Forse perché gli italiani amano poco leggere e non hanno ancora acquisito il gusto della complessità. La bellezza è sempre al plurale e va saputa individuare e cogliere anche quando è fin troppo evidente. C’è sempre una parte di bellezza che sfugge, che non si manifesta. Non saprei dire con certezza il perché il mondo dell’olio sia triste, o perché mi appaia tale, ma resta il fatto che chi si occupa di olio non ha una visione dialettica aperta al confronto, preferendo piuttosto rinchiudersi nel proprio orticello, asserragliato tenacemente nelle proprie convinzioni, senza cedere d’un solo passo.
Il mondo dell’olio non sa cogliere la bellezza, perché il primo impatto con l’olio è solo indirizzato a scorgerne i difetti al momento dell’assaggio, soltanto in seguito si passa al resto. C’è un errore di partenza, una distorsione della realtà. È come se un amante dell’arte andasse a una mostra pronto a cogliere subito le imperfezioni e gli errori. È un approccio sbagliato, passatista. Un tempo ci si concentrava sui difetti perché gli oli, pur genuini, non erano buoni come quelli di oggi: non c’erano la tecnologia e le attenzioni odierne, mancavano la progettualità nel produrre e la consapevolezza, perché importava solo che l’olio fosse genuino, spremuto dalle olive. Si puntava al minimo, non a una qualità sempre più alta. Ora è diverso, c’è un altro modo di produrre, ma non è cambiato purtroppo l’approccio dell’assaggiatore con l’olio. Si parte sempre dai lati meno piacevoli: “Cosa c’è che non va in quest’olio che assaggio?”. Un approccio, permettetemi di dirlo, sbagliato. Il mondo dell’olio è triste, perché chi fa qualità non riesce a venderla, soprattutto perché non sa raccontare il proprio olio, il percorso fatto, l’idea e il progetto. Se racconta, racconta male, con astio anche, magari limitandosi a denigrare l’olio del vicino: “Il mio olio è il migliore di tutti”. Un atteggiamento sbagliato, da perdenti. Per far emergere la qualità del proprio olio e dire “sono bravo”, i più ricorrono a espedienti da poveracci. Prendono un olio da primo prezzo al supermercato, magari quello in offerta, e lo fanno confrontare con il proprio, ovviamente di alta qualità. Chi li ascolta annuisce: “È vero, il suo è più buono”. Scegliendo questa strada per confrontarsi, si rende evidente l’enorme distacco, ma non è una comparazione alla pari. Se si vuole mettere a confronto il proprio olio con un altro, si deve giocare onestamente, nell’ambito della medesima fascia di prezzo: esistono oli da primo prezzo, oli premium e oli d’eccellenza. Mettere a confronto un primo prezzo con un olio di fascia e qualità superiori equivale a giocare sporco, è segno di stoltezza.