lasciateci
il piacere del vino

AIS Staff Writer

Non passa settimana che da qualche parte nel mondo dell’informazione non si parli di salute e di vino. Ormai siamo giunti al tutto e al contrario di tutto, addirittura quegli esperti/ricercatori che asserivano che il resveratrolo fosse quasi un salvavita adesso lo incriminano come un feroce assassino, se assunto in dose elevate (e ci chiediamo: che cosa vuol dire elevato?). L’ultima è apparsa all’inizio del 2016, e il titolo è tutto un programma: il vino rosso fa male, dicono gli esperti.

Siamo giunti al paradosso, quasi da denunciare i presunti esperti per procurato allarme, perché gira che ti rigira, trattando degli effetti collegati all’alcol, guarda caso se la prendono sempre con il vino, in questi ultimi tempi con quello rosso. Eppure la guerra fredda è finita, quel colore è stato sdoganato, al pari del vino nero, volendo considerare quella tinta un oscuro periodo ante Seconda guerra mondiale: giusto per par condicio.


L’insensatezza di tutto questo sta nel fatto che gli esempi proposti sulla pericolosità sono misurati in unità alcolica. Si presentano giuste comparazioni con la birra, i distillati, i cocktail, i liquori e le curiose bevande con mix di alcol e flavour, ma nel titolo dell’articolo il mostro è sempre il vino. È chiaro che il vino è un prodotto molto consumato, ha un’attrazione culturalmente alta, è addirittura uno strumento finanziario, o forse la bottiglia battuta da Christie’s a 8.115 sterline non rientra in questa diatriba?

Non riusciamo a immaginare quanti consumatori di vino in odor di sventura salutistica, in altre parole rispettosi dei 3-4 bicchieri a 12% vol. al giorno (così dicono gli espertoni della materia), siano davvero interessati a queste dissertazioni preospedaliere. E che dire di un cocktail o di una lacrima di sana e immacolata grappa?

Uno studio della University College London constata che chi non assume alcol per quattro settimane trova beneficio nelle funzioni del fegato, nella pressione arteriosa, nel colesterolo e diminuisce il rischio di sviluppare il diabete. Che dire? Gli autori non meritano il premio Nobel, vista la scoperta?

Dagli States, il Distilled Spirits Council, a voce del suo vice presidente, nonché ex direttore del National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism, riafferma che un moderato e responsabile uso di bevande alcoliche da pare dell’adulto (sano) può essere parte di un salutistico stile di vita e di scelta dietetica, tanto che è incluso nelle linee guida della politica nutrizionistica statale USA (2015-2020): http://health.gov/dietaryguidelines/2015/guidelines/.

Gli americani non pongono l’accento sulla parola vino, ma sulla dose alcolica. Svicolano democraticamente affermando che l’alcol non è un componente dello schema alimentare americano (USDA), per cui se non si assume alcol si può continuare a farlo; se però l’alcol è consumato (uso, non abuso), la moderazione e l’età adulta è un tutto che salvifica.


Il 2016 pare essere iniziato come un anno antialcol in UK: che sia il germe di un qualcosa che vuole proiettarsi su un futuro di analcolismo politico? Così scrive il Direttore del Medical Officer for England: “Bere regolarmente qualunque quantità di alcol crea rischi per la salute, per tutti; ma se il limite di assunzione non supera le 14 unità alcoliche a settimana il rischio di contrarre malattie come il cancro o disordini al fegato s’abbassa”.

La novità del 2016 è la saldatura fegato distrutto, cancro, alcol e vino, un ritornello fin troppo cantato, sempre che quel consumo non sia abuso, ovvero non superi quelle dosi di moderabilità che sono definite (in UK) in 21 unità per l’uomo e 14 per la donna; fatte salve tutte le variabili (in più e in meno) dovute a costituzione fisica, momento di assunzione, età, metabolismo e via dicendo. Ciò che fa molto notizia è il più, e quel più, anche se minimo, zac, ti porta sulla via di prenderti un cancro o avere problemi di salute nella parte finale della vita. Ripeto: avere problemi di salute nella parte finale della vita!

Insomma, certe intonazioni o vulcanicità mediatiche sembrano gli echeggi ante medievali dei predicatori itineranti, che osannavano la glorificazione della giornata (il quotidiano vivere) con il ritornello retorico: “Ricordati che devi morire!”. E al pari di Massimo Troisi, in Non ci resta che piangere, non c’è altra risposta che: “Sì, sì… Mo’ me lo segno proprio… C’ho una cosa… Non vi preoccupate”.


Meglio non indurre in preoccupazione gli esperti, per cui annotiamo che l’alcol del vino non fa parte del nostro organismo, ma è parte del nostro spirito, delle nostre emozioni, della nostra umanità, della nostra civiltà e dell’empatia conviviale. Con il vino si brindava alla donna amata e si vuotavano tanti kyathoi quante erano le lettere del formavano il nome della donna. Vi ricordate Marziale e i suoi “sette calici a Giustina, a Levina sei ne bevvi, quattro a Lida”, coniando quel nomen bibere che ancora oggi ha un valore assoluto: beviamo alla salute di…! E che dire dei Sumeri? Per loro la foglia della vite simboleggiava l’esistenza umana, invece i Greci ritenevano il vino un dono degli dèi. Ne sono passate di vendemmie e il vino non si è mai staccato dal nostro progredire di civiltà, perciò è parte della nostra cultura, e la cultura non è mai stata dannosa.

Lasciateci, e lasciamoci, questo piacere per il vino. Anche il proverbio è dalla nostra parte: Un bicchiere di vino al giorno toglie il medico di torno.