vulcanico
Assyrtiko

Roberto Bellini

È l’isola di Santorini la culla di questa vitis vinifera, la cui storicità affonda direttamente nel cratere della genesi della viticoltura, perché quando si parla di Grecia, da qualunque prospettiva la si osservi, sia essa storica, artistica o filosofica, uno dei gesti più rispettosamente eloquenti che possiamo offrirle è quel “tanto di cappello”.

Non c’è storia della vite e del vino che non investa il suolo greco e che non abbia avuto vantaggi dalla genialità ellenica. La Grecia segnò per secoli un sentiero radioso per l’avvenire della viticoltura, favorendo l’allontanamento dalla barbarie di tanti popoli che si affacciavano sul Mar Mediterraneo. A Tucidide, storico di scuola sofista, stratega militare e acuto osservatore del sociale, si deve questa illuminante intuizione: “I popoli del Mediterraneo cominciarono a uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare la vite e l’olivo”, di buon auspicio per iniziare il racconto dell’aristocratico assyrtiko.

L’assyrtiko sta a Santorini, come Santorini sta al vulcano, tanta è la simbiosi di un’equazione atavica che si trasforma in una proporzione, la cui incognita X è rappresentata dal vino: come sarà? 21.000 anni fa si sarebbe verificata una delle prime catastrofiche eruzioni, che sbriciolò tre isole ricomponendole in una sola entità; poi, intorno al 1627 a.C., eccone un’altra, chiamata “eruzione minoica”, che squarciò l’isola eruttando un miliardo di tonnellate di rocce, cancellando ogni forma di vita, inclusa anche l’eventuale uva assyrtiko, e disegnando la conformazione attuale; fortunatamente la popolazione intuì la catastrofe ed evacuò prima dell’esplosione. Trascorsero oltre trecento anni prima che qualcuno tornasse a risiedervi.

Da questo nuovo anno zero, dei tanti anni zero a cui l’isola si era suo malgrado abituata per via di eruzioni e terremoti, è ripartita la storia dell’assyrtiko. Due sono le ipotesi che hanno preso campo. La prima, che l’uva sia rinata grazie alla pietra pomice stratificatasi con la lava solidificata, le ceneri vulcaniche e la sabbia, ricomponendo il nuovo suolo dell’isola. La pietra pomice, assorbendo l’umidità della nebbia, avrebbe favorito il ritorno della vegetazione, pertanto anche della vite. L’altra ipotesi è che siano stati i Fenici nel 1200 a.C. a impiantarla. Sta di fatto che da quel momento l’assyrtiko ha vissuto continuativamente sull’isola, coltivato sempre con lo stesso metodo.