sopraffino
sottozero

Marco Carnovale

Vendemmie tra dicembre e gennaio, effettuate di notte e a temperature più familiari a un surgelato che a un grappolo d’uva. È in queste condizioni estreme che risiede la vera magia degli icewine canadesi.

Tra le tante ragioni che rendono il Canada uno dei paesi con la più alta qualità di vita al mondo, le doti vitivinicole non sono quelle più conosciute. Solo trent’anni fa di vino made in Canada non ce n’era. Peggio: come nei vicini Stati Uniti, fino al 1927 era stato in vigore un rigoroso proibizionismo. Anche nei decenni successivi, le licenze per produrre vino erano state rilasciate col contagocce. La vinificazione è stata liberalizzata solo nel 1974 e ancora oggi il commercio del vino è controllatissimo, soprattutto nell’Ontario, dove il governo regionale gestisce il monopolio della distribuzione tramite i Liquor Control Board of Ontario, una rete di oltre 850 negozi che risponde direttamente al Ministero delle Finanze. Unica eccezione: i visitatori delle vigne possono comprare presso le cantine di produzione.

Poca tradizione dunque, ma molta tenacia e immaginazione. Il clima certo non aiuta: si sa che la vite cresce produttivamente tra i 30 e i 50 gradi di latitudine, e la posizione geografica pone l’enorme paese quasi totalmente fuori gioco. Alcune zone lungo il confine con gli USA, tuttavia, si trovano al limite di questa fatidica soglia. In particolare, nelle zone più meridionali delle province dell’Ontario a est, e della British Columbia a ovest, si è sviluppata un’industria vitivinicola di rilevanza internazionale. Qualcosa comincia a emergere anche in Québec e Nova Scotia.

Durante un recente viaggio in Canada sono stato più volte sorpreso da ottimi vini da pasto, soprattutto bianchi. Mi hanno colpito potenti Chardonnay di corpo e perfettamente equilibrati, con un’acidità stuzzicante ma non invadente. La vera scoperta è stata l’icewine (“vino di ghiaccio”, scritto in una sola parola per distinguersi dall’ice wine statunitense).