se il critico
non critica

Valerio M. Visintin

La critica gastronomica nostrana tende spesso a evitare stroncature per alimentare tornaconti personali. A discapito del lettore e di una corretta informazione.

“Se un ristorante non mi piace, non ne scrivo.”

Ah, sì? Sono un uomo mediamente pacifico, badate. Ma ogni volta che un collega mi ripete questo ritornello, debbo evocare con la massima urgenza pensieri gentili e medicali per non perdere le staffe.

Mi concentro. Penso al mare. Il mare della Corsica. Sì! Eccolo, palpitante d’azzurro e di spuma come un telo dipinto, che si allunga sulla battigia per consegnarmi il suo benvenuto luccicante... “Perché non ne scrivo? Ma perché credo nella critica costruttiva. Ovvio.”

Non basta. L’Inter, forse, può placarmi. Rivedo la scena. Zanetti, il glorioso capitano, solleva la coppa al Santiago Bernabéu il 22 maggio del 2010.

“In fin dei conti dobbiamo fare informazione. No? Non siamo plotoni di esecuzione, che sparano dall’alto di un piedistallo.”

Ci vuole qualcosa di più forte. La mamma! La mia cara mammetta nel ’76, in cucina, mentre impasta acqua e farina per gli gnocchi in un giorno di festa.

“Insomma, dico: metti che mi trovo male in un ristorante. No? Ecco, allora evito di scriverne. E magari spiego al titolare quello che non va. Faccia a faccia, no? Capisci?”