olio di ieri e di oggi Luigi Caricato Un tempo l’olio non era buono come quello di oggi. Non perché non fossero bravi a farlo, era semplicemente diverso. L’olio che si ricavava dalle olive era di una qualità superiore rispetto ad altri oli vegetali, ma paragonato a quello odierno era distante anni luce. Portava con sé tutti i limiti di una tecnologia ancorata al passato, con tempi di lavorazione delle olive troppo lenti. Tuttavia, ogni epoca ha la sua qualità, anche perché il concetto di qualità è sempre in divenire. Tuttora non esiste una qualità definitiva, è sufficiente una nuova scoperta per giungere a un olio differente. Basti pensare a come è cambiato, nel giro di vent’anni, il profilo qualitativo degli oli da olive. Il contributo della tecnologia ha reso possibile questo mutamento, ma si può ottenere molto di più. Non è dunque la qualità come tale a dover essere presa in considerazione. Già in epoca romana esisteva la qualità eccelsa e si chiamava oleum ex albis ulivis. Era l’olio ricavato dalle olive acerbe, ancora verdi, senza impieghi alimentari, bensì di medicamento. Per l’alimentazione c’era l’olio viride, estratto da olive in fase di invaiatura, con la buccia che virava verso il violaceo e il nero. L’attenzione ora è rivolta a una qualità più duratura: il produttore contemporaneo non desidera solo ricavare un olio eccellente, ma un olio la cui eccellenza sia dotata di una lunga vita. Poiché l’olio è una materia prima fragile, destinata a ossidarsi, il passo ulteriore da compiere, per dare un senso maggiore e più concreto al concetto di qualità, è prolungare tale qualità. Tutto si gioca sulla shelf life, la vita del prodotto sullo scaffale. Per questo, il limite temporale entro cui consumare l’olio può variare in funzione della qualità intrinseca di ciascun olio extra vergine di oliva. Diventa allora strategica ogni soluzione che contribuisca a rendere più stabile l’olio e, soprattutto, a mantenere integri e persistenti i suoi profumi e sapori, oltre che le sensazioni tattili e chinestetiche, come il grado di astringenza, di amaro e piccante che si avvertono in bocca, al momento dell’assaggio, e che si modificano entrando in relazione con altri alimenti. La qualità di un olio è una scoperta continua. Se è individuabile con maggiore facilità, grazie anche ai numerosi corsi di degustazione, ciò che ancora non è compreso dagli stessi addetti ai lavori è la qualità declinata al plurale. Ci si sofferma su un’idea di qualità che spesso non rispecchia la realtà produttiva e quanto si trova effettivamente a disposizione sul mercato. Si tende addirittura a spettacolarizzare la qualità, rendendola un paradigma fine a se stesso, fino a concepirla come qualcosa di esclusivo, mentre dovrebbe essere accettata e accolta così come appare, stratificata e declinata al plurale, appunto, vista in funzione dell’impiego dell’olio. Sul concetto di qualità sono in corso grandi dibattiti, ma in pochi ne comprendono il senso profondo. Non si riesce a intuire la stratificazione della qualità in funzione degli impieghi e degli abbinamenti con altre materie prime alimentari, concetto che invece un tempo era ben chiaro agli addetti ai lavori. C’era una maggiore consapevolezza dei distinti modi di consumare l’olio. Il vero problema era un altro, e non da poco: l’olio ricavato dalle olive apparteneva solo a pochi, a quanti potevano permetterselo, visti i prezzi altissimi e impossibili per la gente comune. Gli antichi romani ne riservavano in verità una quota agli schiavi, affinché l’apporto energetico li aiutasse a sopportare le immani fatiche cui erano sottoposti. Era però l’olio degli ultimi, quello definito cibarium, estratto da olive guaste, aggredite da parassiti o raccolte da terra già ammuffite. Oggi tutto questo è impossibile. Anche se in annate difficili o in casi di negligenza l’olio può essere di minore qualità, è in ogni caso sottoposto a raffinazione. Il processo di rettificazione porta all’eliminazione di ogni impurità, rendendo l’olio pienamente fruibile, senza alcuna significativa perdita in termini di salubrità. Come sempre, è il progresso a fare la differenza. Anche su altri fronti il percorso che conduce alla qualità ha compiuto passi notevoli. L’olio, in fondo, resta il frutto del sapiente apporto di una tecnologia sempre più funzionale. Così, mentre una volta si esibiva con orgoglio ciò che ne costituiva un limite, adesso cambia tutto: la velatura dell’olio, per esempio, non è affatto un bene per l’olio. L’idea di mettere in commercio un olio non filtrato, allo scopo di esaltare l’elemento della naturalità, non è più praticabile, anche se qualche azienda insiste in tal senso, pur di incontrare l’apprezzamento (e le conseguenti vendite) da parte di un consumatore nostalgico dell’olio velato. Per fortuna, si è compreso quanto sia importante bonificare l’olio, eliminando ogni particella di acqua residua e altri elementi vegetali in sospensione. Un olio filtrato è garanzia di qualità, soprattutto con le tecniche meno invasive attuali. Un olio extra vergine di oliva filtrato è la salvezza stessa dell’olio: è tanta vita in più. In quest’ordine di idee, l’olio del passato non era buono come e quanto lo è oggi. A giustificare la qualità degli oli prodotti in altre epoche, valga comunque la notevole letteratura esistente sull’argomento salute. L’olio da olive fa bene, segno che i suoi nutrienti hanno efficacia se assimilati come alimento e per via esterna, quando assorbito dalla pelle in forma di unguento o associato ad altri componenti di un prodotto cosmetico. Il punto di congiunzione tra la qualità odierna e quella del passato sta nella bontà salutistica degli oli da olive. Passano i secoli, ma l’olio ricavato dalle olive, tra tutti quelli in circolazione, resta sempre il miglior olio per fini alimentari – senza nulla togliere agli altri, beninteso, giacché ogni alimento ha la sua importanza nell’ambito di una dieta. Ciò che conta è anche la quantità impiegata. Un olio da olive vanta un alto effetto condente, ed è questo a renderlo unico; potendone versare meno, si assume una quantità di grasso inferiore e più salubre, con risultati più efficaci sul piano sensoriale. Se dobbiamo fare i conti con la storia, a scanso di equivoci occorre dire che nessun’epoca vince sull’altra, perché in ogni tempo si produce la qualità più alta che è possibile conseguire con i mezzi a disposizione. Come sempre, la qualità va coniugata al plurale, perché l’olio da olive è un alimento complesso, con tante sfaccettature, presente sugli scaffali in quattro distinte categorie merceologiche (olio extra vergine di oliva, olio vergine di oliva, olio di oliva, olio di sansa di oliva). Merita pertanto la debita considerazione e ogni possibile approfondimento. La qualità, oltre a essere concepita nella sua diversa stratificazione, deve essere percepita anche in relazione ai diversi soggetti che ne fruiranno. Non bisogna confondere, come molti fanno in maniera approssimativa, la qualità desiderata dal consumatore con l’affermazione di una qualità imposta dalle mode e dalle circostanze. La qualità di un olio extra vergine di oliva è il frutto di ciò che di volta in volta richiede il legislatore, attraverso i parametri fissati per definire la categoria merceologica di appartenenza, e ciò che il mercato premia in funzione delle mutevoli tendenze di gusto del consumatore. Si sta verificando una netta separazione tra ciò che per alcuni esperti è la qualità autentica (legata strettamente alla presenza delle note amare e piccanti) e la qualità cui aspira il consumatore, con oli dall’impatto dolce, morbido, rotondo, e note amare e piccanti non troppo spiccate. Resta da chiedersi quale sia la strada giusta da seguire per chi produce olive, chi le molisce in frantoio ed è responsabile dell’esito finale dell’estrazione, e chi, in un’ottica finalizzata alla commercializzazione, assembla gli oli in blend destinati a quanti utilizzano l’olio professionalmente (come gli chef) o ne fanno un uso quotidiano, senza porsi domande. La risposta a quale qualità sia attualmente possibile è quella di sempre: si produce per chi consuma. Qualcuno vorrebbe imporre una qualità di per sé oggettiva ma non richiesta dal mercato, mentre altri, senza tradire l’idea di qualità, riescono più efficacemente a soddisfare le esigenze diverse del consumatore, cangianti da paese a paese, da territorio a territorio, anche in funzione del differente grado di accettazione delle caratteristiche di amaro e piccante e dell’intensità delle note fruttate. La stessa materia prima di partenza può ottenere il consenso del pubblico oppure no. La maestria sta nell’arte di realizzare con successo i blend. Davanti ai medesimi oli, c’è chi sa giungere a una qualità gradita dal consumatore e chi, invece, avendo con ostinazione in mente una propria idea di qualità, non riesce a conseguire il medesimo successo. L’oleologo è come un sarto che dispone delle stesse stoffe di un altro sarto. Quando le stoffe sono omogenee, giocando alla pari, a fare la differenza sono la capacità creativa e l’intuizione nel seguire (o anticipare) i gusti dei propri contemporanei. Proprio per questo la qualità, pur essendo differente di epoca in epoca, segue le medesime logiche di sempre: è qualità ciò che piace. Vi sono differenti gradi di qualità, è vero, ma non bisogna mai mettere a confronto una qualità democratica e popolare di un primo prezzo con una qualità di fascia più elevata o, ancor meno, con una qualità che si identifichi con l’eccellenza. In tutto ciò, educare alla comprensione della qualità è già un buon punto di partenza.