Dopo due o tre bicchieri di vino il legame con la realtà – per esempio, l’esatta percezione dell’importo dell’ultima bolletta del condominio – si allenta, si diluisce, trascolora. E fin qui siamo nei confini dell’ovvio. Ma questo tenue distacco dalle cose si produce di norma in noi persone comuni; negli animi più tormentati il vino causa effetti profondi e talvolta imprevedibili. Fino ad arrivare, per pochi personaggi già significativamente alterati da sobri, a conseguenze estreme, lisergiche, squassanti.
Prendiamo il luogo comune dell’artista tormentato e del tutto svitato fin dall’età di tre anni. Se a Francis Bacon, per dire, bastava annusare la cornetta del telefono per entrare in uno stato allucinatorio, figuriamoci a quale esito straniante può giungere un compositore eccentrico dopo mezzo litro di Barbera. Quest’ultimo sembra proprio il caso di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, altrimenti traslitterato in Scriabin. Un noto folle internazionale, autore di musiche sorprendenti. Nato a Mosca nel 1872, si distinse presto tra i migliori matti della città: dirigendo (da bambino) un’orchestra di pupazzi, dedicandosi alla costruzione di meccanismi sperimentali per pianoforti, distruggendosi irreparabilmente le articolazioni della mano destra nel tentativo di ampliare la sua estensione pollice/mignolo (era in grado di toccare al massimo una nona, mentre un pianista professionista doveva arrivare almeno a una decima).
Scriabin è la quintessenza dell’artista sinestetico, ovvero del musicista che combina in una sintesi espressiva unica i diversi stimoli sensoriali che lo attraversano: suoni, ovviamente, ma anche colori, profumi, sapori. Il suo legame con il vino è sfuggente, possiamo arrivarci solo per via indiretta. Era molto amico di August Niederhäusern, soprannominato Rodo (1863-1913), uno scultore e medaglista svizzero pericolosamente incline all’alcolismo. Secondo Yuly Engel, suo biografo, “Scriabin era attratto da Rodo e amava molto cenare con lui (…) Per Rodo tuttavia cena significava ordinare una pietanza da 35 centesimi, il piatto più economico del menu, e restare seduto a bere il vino che arrivava gratis come accompagnamento”. Infatti “il vino che consumava era più in quantità che in qualità”. E “Scriabin si univa avidamente a queste serate alcoliche e senza cibo”.
Sull’influenza degli altri sensi nell’arte visionaria di Scriabin abbiamo una documentazione più solida. Aveva elaborato una teoria principale sulla diretta relazione tra note musicali e colori. Per corroborarla costruì una tastiera luminosa, che chiamò clavier à lumières, o appunto tastiera di luce, in cui ogni tasto aveva una tinta diversa: rosso per il do, giallo per il re, arancione per il sol (guarda caso), verde per il la, eccetera. Tale strumento era stato pensato per la grande esecuzione del bizzarro componimento sinfonico Prometeo, il Poema del Fuoco (1910), che prevedeva anche la proiezione di fasci di luce policromatica. Il fuoco, il calore erano infatti sue ossessioni peculiari.