Il Costone triestino è una zona storicamente dedita alla produzione di vino e olio, grazie a un profilo ambientale e climatico ideale e al ricco ventaglio ampelografico.
la vite in
Alto Adriatico
Maddalena Giuffrida
Alberto Luchitta
Alberto Luchitta
Alle porte di Trieste, incastonata tra i castelli di Miramare e Duino, si estende una striscia di costa di rara bellezza, dove un tempo non lontano si affacciavano viti e ulivi, caratterizzata dal degradare dell’altopiano carsico nel mare. È Carso, ma allo stesso tempo non lo è. A segnare questo spazio è, infatti, la Costiera di Trieste con il suo zoccolo di flysch, terreno formato da roccia arenaria decomposta, che presenta caratteri morfologici nettamente diversi da quelli dell’altopiano carsico interno. Si tratta di un terreno particolarmente vocato alla coltivazione della vite e degli ulivi, preservato dai nostri antenati con opere di terrazzamento. Per secoli, infatti, i contadini hanno lavorato allo spietramento e al recupero delle ridotte aree coltivabili, costruendo con le pietre ricavate muretti di contenimento e di confine. In questo quadro territoriale la coltivazione della vite presentava severi limiti, ma i vignaioli riuscivano a ottenere prodotti validi e peculiari, grazie a un suolo ricco di silicati e ferro sull’altopiano interno e al flysch costiero.
Che il vino fosse il fiore all’occhiello di questa terra lo sapeva anche l’imperatore Federico III d’Asburgo, che pretendeva le migliori produzioni vinicole del territorio triestino. Le prime notizie sulla viticoltura della zona risalgono all’epoca romana e conducono in un’atmosfera sospesa tra leggenda e mistero. In questa storia c’è di mezzo un vino, il pucino, al quale Plinio il Vecchio attribuiva sorprendenti qualità medicinali. Pare che la longevità dell’imperatrice Livia Drusilla, moglie di Augusto, fosse attribuita proprio a questo nettare, che Plinio poneva al primo posto nella produzione enologica della sua epoca.
Sul colore del pucino la questione è ancora aperta e non fa che aumentarne l’alone di mistero. Secondo una leggenda, uno dei luoghi da cui i Romani traevano il nobile vino era la località di Duino, attorno alla quale si elevò il castello dei principi della Torre e Tasso. L’archivio di questa nobile famiglia fornisce alcune preziose informazioni sulla produzione vinicola della signoria che andava da Duino fino alla cittadina slovena di Sezana, vicina a Trieste. Presso le foci del Timavo, a pochi passi da Duino, i coloni del principe producevano il cosiddetto vin paludo, di cui non si conoscono altre notizie, a parte il fatto che era molto apprezzato alla mensa dei nobili.
Sull’identità dell’uva utilizzata possiamo formulare solo ipotesi: refosco, o forse marzemino, altro vitigno nobile che i documenti attestano come coltivato sui pastini protetti dalla fredda bora della vicina baia di Sistiana, famosa per la più rinomata ribolla. Il bianco principe del territorio era proprio la ribolla che, prodotta in quantità limitate anche all’interno, era coltivata con successo sui terrazzamenti collocati sotto il Costone carsico, per secoli considerato luogo di eccellenza della viticoltura triestina.