Il vino ha un proprio trend evolutivo, oppure subirà l’evoluzione della mentalità delle nuove generazioni, quelle “social”, con relativo cambiamento di gusto? Molte sono le discussioni e i distinguo che si stanno succedendo in merito ai millennials del vino, la generazione direttamente interessata a questo cambiamento e che può fornire la risposta all’interrogativo iniziale. Le agenzie specialistiche in marketing e in risorse di mercato evidenziano che i baby boomers (la cui età si aggira oggi tra i 50 e i 67 anni), che hanno caratterizzato l’impronta organolettica di un certo segmento enologico, tra qualche anno affievoliranno il consumo di vino in modo graduale e irreversibile, se non altro per ragioni anagrafiche. Questa generazione ha forgiato, e poi subìto, un gusto del vino molto particolare. Inizialmente partecipe della pulizia dei sapori, regolata negli anni ’70 da oscillazioni tanniche a carattere amaricante, abbinate a cromatismi incerti e a una durata potenziale molto incostante, ha vissuto il successivo irrobustimento della struttura del vino: alcuni vini da 12, 12,5% di gradazione alcolica oggi difficilmente scendono sotto la soglia del 13,5%. Negli anni in cui la finanza aggredì l’industria primaria, in cui i giochi delle borse innescarono un “ingrassamento” monetario e il confronto di dati e analisi iniziò a correre in rete con l’uso dei computer, il vino che avvalorava quella crescita si spostò dal bianco carta e dal rosso rubino chiaro a tonalità più calde, abbandonò la freschezza dei fiori e dei frutti e si concentrò (non solo nel profumo) in sfumature speziate, tostate e mineraleggianti. Tutto si fece opulento nel volume liquido, denso nella massa che roteava nel calice, e il vino invece di distendersi nel palato, iniziò a gonfiare le guance del consumatore esplodendo in alcol.
Non fu il produttore a imporre quel gusto, fu una svolta mediatica che sfruttava nuovi concetti di informazione. I giornalisti prestati al vino iniziarono a prendere coscienza e fiducia nel raccontarlo, finalmente confrontarono il vecchio mondo dell’enologia europea con il nuovo transoceanico, evitarono di guardare alle nuove nazioni del vino con presuntuosa supponenza e non si lasciarono condizionare dai tradizionalismi. Il vino di riferimento diventò quello rosso, per anni incontrastato primo attore delle degustazioni nel mondo; le sue eccellenze hanno seguito diete energetiche in alcol, glicerina e tannino. Ci voleva un gusto per quel boom economico, accompagnato da una massiccia sostanza enologica, prima della catastrofe finanziaria del 2006.