Della Birmania, straordinario stato del Sudest asiatico, si è sempre parlato elogiando le meraviglie architettoniche, i buddha reclinati, le pagode d’oro sparse su un verdissimo orizzonte, così numerose e scintillanti da meritarle l’appellativo di Golden Land, Terra dorata. Ogni santuario e abitazione di questo luogo rimasto sospeso in un passato indefinito profuma di incenso e frangipani freschi. Le risaie, insieme alle miniere di giada, ai giacimenti di oro e gas, alle foreste di teak e alle coltivazioni di sandalo, sono le principali risorse economiche del paese.
È l’Asia come la immaginiamo, la povertà e la precarietà politica conseguenti all’imperialismo descritte da Orwell, la bellezza del viaggio raccontata da Terzani. La presenza occidentale è rara: il paese è stato riaperto al turismo e agli investimenti stranieri solo da una ventina d’anni, nonostante il governo di stampo militare piuttosto autoritario e contrastato fortemente da numerosi attivisti, tra i quali il Premio Nobel Aung San Suu Kyi. Le infrastrutture sono spartane ma funzionali, come le strade talvolta sconnesse e sterrate che attraversano il paese e permettono di scoprirlo interamente in autobus.
Ci si sposta macinando chilometri, senza perdere il contatto con i paesaggi sconfinati, la terra coltivata ancora tradizionalmente, i villaggi in bambù, i mercati ai lati delle carreggiate, i visi sorridenti ricoperti di thanaka, la fanghiglia bianca che preserva la pelle dal caldo e dal sole. Quasi tutti i birmani sono buddisti, caratteristica che li rende un popolo straordinariamente ospitale e rispettoso. Non ho mai visto tanta povertà accostarsi ad altrettanta bellezza e premura.
Da sempre unisco l’interesse per i viaggi con l’amore per il vino. In terre lontane cerco vigneti e produzioni inedite, che proiettino mente e sensi lontano dalle esperienze degustative più classiche. La nostra amata e controllata Europa prevede rigidi disciplinari nella produzione del vino, che da un lato rappresentano fondamentali conquiste e linee guida per la tutela del prodotto e del consumatore, ma dall’altra possono rappresentare un limite all’innovazione. Apprezzare vini provenienti da contesti tanto diversi non è semplice, spesso a causa di preconcetti sull’idea di qualità. Si può parlare della qualità intesa come genuinità delle materie prime, corretta lavorazione e rispetto della tradizione, ma talvolta si confonde la qualità reale con il marketing.