capitani
coraggiosi

Luigi Caricato

Non tutto è perduto, c’è ancora un’Italia che resiste al degrado e alla decadenza. Esiste una imprenditoria olivicola e olearia che non ci sta e si oppone con determinazione alla lenta, inarrestabile perdita di ruolo che ci sta caratterizzando da almeno trent’anni a questa parte. Un tempo eravamo la grande Italia dell’olio, oggi siamo l’ombra di quell’immagine gloriosa e, aggiungerei pure, portentosa. Eravamo un modello, un archetipo. Dedicando un capitolo alle famiglie dell’olio, nel mio Atlante degli oli italiani (Mondadori, 2015) ho messo in evidenza la loro grande capacità di agire concretamente nella storia economica, ma con una visione nostalgica, di dolore per ciò che era stato e non è più; anche se, di fatto, nel volume non ho voluto far trasparire questo mio dolore, perché mantenere la dignità e l’orgoglio dei nobili decaduti in certi casi è d’obbligo.

Leggendo queste considerazioni in apertura, non pensiate di avere di fronte un pianto continuo.

Non sarà così, perché non fa parte della mia personalità assumere atteggiamenti remissivi. Mi oppongo fermamente a questo costante declino e voglio con tutto me stesso pensare a un’Italia olearia diversa, più propulsiva; sono convinto che vi siano ancora in campo figure straordinarie, in grado di scuotere il Paese da questa inedia che ci caratterizza purtroppo da anni. Per questo mi piace raccontare la realtà con occhi diversi, prefigurando nuovi scenari. Da tempo pensavo a un titolo di effetto per questo articolo, richiamando quelli che definisco “capitani coraggiosi”. Così sono per me quanti si muovono intrepidi nel mondo dell’olivicoltura e dell’olio, che pensano al futuro senza rinunciare al presente, nonostante lo scenario non propriamente favorevole in cui sono costretti a operare.